giovedì 5 giugno 2008

SICILIA: MAGISTRATI AL GOVERN


di Agostino Spataro

Il travagliato varo del governo Lombardo pone, fra le tante, alcune questioni delicate e, per certi versi, inedite che chiamano in causa la capacità della politica di governare i processi sociali, economici e tecnologici sempre più complessi e multidipendenti.

Partiti e governi non ce la fanno sia nelle società evolute, forse perché troppo in avanti, sia nelle realtà più arretrate, forse perché troppo indietro.

E, nell’incapacità di trovare un centro propulsivo, di autoriformarsi, la politica cerca fuori di essa legittimità ed apporti provenienti da altri poteri autonomi e distinti.

Lombardo sembra essersi mosso dentro questa logica. Oltre alla riconferma del tecnico La Via, ha nominato assessori due stimati magistrati in servizio: Massimo Russo e Giovanni Ilarda.

Tutto è avvenuto nel vortice di una lunga e contorta vicenda politica che tanti strascichi ha lasciato nel centro-destra.

Non si capisce perché un presidente e una maggioranza, usciti dalle urne nettamente vittoriosi, ci abbiano messo così tanto tempo per varare una giunta senza una donna e rimasta inattiva per mancata assegnazione delle deleghe.

Per molti giorni, abbiamo avuto un governo solo in fotografia.

Evidentemente, prima di assegnare le deleghe, c’era da pesare col bilancino il peso budgetario di ciascun assessorato il cui valore non dipende dalla sua finalità sociale e dalla qualità dei servizi, ma

dalla quantità della spesa da erogare.

Questa è stata (ed è) la realtà del potere in Sicilia che spesso ha vanificato la collegialità e l’efficienza dei governi. In fondo, questa vicenda non fa che confermare l’amara verità.

Il risultato è una giunta molto simile alle tante gemelle alternatesi al governo della regione, con risultati molto deludenti. L’unica novità è costituita dalla presenza dei due magistrati che ha suscitato nell’opinione pubblica interesse ed una certa attesa.

Non si tratta di un precedente in assoluto, giacché un magistrato figurava nel precedente governo Cuffaro. Lombardo semmai ha raddoppiato.

A questo punto, la domanda è d’obbligo: il raddoppio è da considerare un fatto eccezionale o si configura come una tendenza in evoluzione?

Sappiamo che molti siciliani approveranno tale scelta. Confesso che, di primo acchito, anch’io. Tuttavia, non si può sottacere una questione politica che va ben oltre il dato meramente personale, nominalistico.

Cosa voglio dire? Nulla da obiettare sulla personalità dei due magistrati prescelti e nemmeno sui tanti che siedono in Parlamento (nel passato qualcuno anche all’Ars), anche se c’è differenza fra l’esercizio della funzione legislativa e quella esecutiva. Nel primo caso il magistrato è eletto dagli elettori per concorrere alla formazione delle leggi, nel secondo è nominato da un leader per esplicare una funzione di governo.

Questione delicata che presenta un’oggettiva valenza politica oltre che ragioni di opportunità reciproca.

La sensazione più diffusa è che Lombardo, consapevole di trovarsi di fronte una montagna di guai, vecchi e recenti, abbia nominato i due magistrati per sopperire alla scarsa (o nulla) volontà di cambiamento delle forze politiche sue alleate.

Non a caso affida ai due i settori più ostici che abbisognano di tagli piuttosto drastici: la sanità e la giungla della burocrazia regionale. Ovviamente, ben vengano i tagli degli sprechi, purché siano mirati e calibrati per garantire ai cittadini, soprattutto ai meno abbienti, gli standard medi di qualità dei servizi erogati.

Semmai ci sarà da verificare se, e in qual misura, questo tipo d’apporto sarà condiviso dai vari settori della maggioranza che rappresentano, talvolta anche personalmente, quella rete d’interessi clientelari e affaristici che non potrebbero sopravvivere senza un flusso certo di spesa regionale.

In Sicilia, molte fortune politiche e patrimoniali son dovute alla crescita elefantiaca e senza controllo dei due comparti che si vogliono razionalizzare.

In sostanza, se la politica non vuole il risanamento, Russo e Ilarda non possono fare il miracolo.

E se lo facessero sorgerà un inquietante interrogativo: perché loro possono e i politici no?

Il loro successo getterebbe altro discredito, suonerebbe come una sconfitta del ceto politico che, incapace di autoriformarsi, continua a delegare responsabilità alla magistratura: prima il compito ingrato di fronteggiare il malcostume diffuso nella gestione dell’amministrazione pubblica ed ora, direttamente, settori importanti del governo della regione.

Di questo passo, l’opinione pubblica potrebbe convincersi dell’irreversibilità della crisi della politica e della necessità che per governare si debba ricorrere a forze provenienti da un altro potere autonomo, costituzionalmente delegato a ben altro.

Ovviamente, nessuno si augura l’insuccesso dell’azione dei due magistrati per salvare la faccia della politica. Affatto. I partiti e le forze più avvertite dovrebbero decidersi per il cambiamento affinché, in futuro, non sia più necessario il ricorso a risorse “esterne” per quanto capaci e rispettabili.

Il problema ritorna, dunque, alla politica, alla sua volontà riformatrice, al suo sforzo di autorigenerazione per conservare e rafforzare, democraticamente, il suo primato nel governo e nella società.

* pubblicato, con altro titolo, su “La Repubblica” del 5 giugno 2008

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