venerdì 16 gennaio 2009

Safari Agrigento - Milano

di Alberto Todaro

È di ieri la notizia che una donna di Canicattì (perché Canicatti esiste) è stata mangiata viva dagli insetti sul treno. Si trovava sul Roma-Agrigento, la Freccia del Sud, da alcuni ribattezzato Feccia del Sud, e al suo arrivo a casa si è sentita male, è andata in ospedale insomma…
(http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/cronaca/insetti-treno/insetti-treno/insetti-treno.html). E in effetti posso dire, per recente esperienza personale, che fare un lungo viaggio in treno è un’esperienza che ti può segnare. Era una vita che non prendevo il treno e me ne sarei certamente tenuto ancora alla larga se non ne avessi avuto la necessità. Necessità dettata dal fatto di non aver trovato neanche un posto in aereo, dal dover fare questo viaggio proprio in quel periodo, etc… Dovevo prendere, quindi, il treno e recarmi a Como. Decido di evitare la tratta Agrigento-Catania e di andare in pullman alla città etnea. Al mio arrivo a Catania, vado alla stazione ferroviaria e trovo il mio treno, un Regionale per Messina, pronto sul binario 4. Salgo e, visto che c’era ancora almeno mezz’ora prima della partenza, tiro fuori il mio bel panino con la mortadella e decido che è giunta la sua ora. A metà panino sale un tizio delle Ferrovie che mi dice che devo scendere perché quel treno non partirà e al suo posto ci sarà un bus sostitutivo fino a Messina. Riincarto il panino, vado così al piazzale antistante la stazione, finisco il mio panino e prendo ‘sto bus che, per sì e per no, parte con una decina di minuti di ritardo. Io tengo l’occhio fisso sull’orologio perché devo arrivare a Messina Centrale verso le 18,00; da lì devo andare a Messina Marittima (restando sul treno), traghettare a piedi (sempre meglio che a nuoto) e poi, a Villa San Giovanni, prendere il treno, la Freccia, che mi parte a una cert’ora, le 19,43 esattamente, e che mi porterà trionfalmente a Milano. Sono anche moderatamente ottimista, penso che se il treno fa Catania-Messina in un’ora e mezza, l’autobus, via autostrada, ci può anche mettere meno, no? No. Infatti quale sorpresa quando vedo che il pullman non va verso la desiderata autostrada ma si dirige, lento pede, verso i paesini della costa. Luoghi bellissimi, non lo nego, ma con stradine così così. Aci Castello, Aci Trezza (coi faraglioni che si intravedono e c’era anche Padron ‘Ntoni che bestemmiava con un sacco di lupini in spalla), Acireale (panorami bellissimi), Guardia, Giarre. Capisco, e già da tempo, che non ce la posso fare a prendere il mio treno a Messina. Dal mio posto piuttosto indietro sento la gente seduta davanti che parla ad alta voce. Approfitto del fatto che alcune persone sono già scese e mi vado a sedere più vicino all’autista e lì mi si apre un mondo. Capisco che al guidatore è stato dato un itinerario di massima, che si fermerà a Taormina e non a Messina, che si fermerà a tutte le stazioni dove si sarebbe fermato il treno e che, ahimé, lui non è tanto esperto di quei posti lì. Per cui ad ogni bivio nasce una discussione su quale strada prendere, si negozia se andare a destra o a sinistra, “no, non prenda da lì che c’è un ponticello basso che poi non ci possiamo passare”. Roba da restarci secchi. C’è una signora tedesca, ma sposata a un siciliano, che ride convulsamente. Ad ogni bivio c’è uno scambio di idee su dove andare. Ora, per carità, sono siciliano e conosco la mia terra ma a queste cose non mi ci posso abituare. Subito dopo Giarre un signore bravissimo prende in pugno la situazione e decide lui quali strade prendere; diventa il leader e l’autista si fida ciecamente. Alla stazione di Fiumefreddo il signore scende e io mi sento perso. Lo prego di rimanere, gli facciamo capire che siamo disposti a pagare, ma per fortuna prima di andar via dà disposizioni all’autista, il quale riprende il cammino più sicuro di sé. Infatti manca solo la stazione di Giardini Naxos e poi eccoci a Taormina. Il treno ci avrebbe messo un’ora e mezza fino a Messina, il bus ce ne ha messo due e mezza ma fino a Taormina. Abbiamo fatto strame della tabella di marcia e mentre sono alla stazione di Taormina io penso al mio bel trenino di Messina che sta partendo or ora alla volta di Milano. Fortunatamente il treno per Messina sta passando proprio in quel momento. Sicché salgo. Io sono pervaso da una strana calma ma vicino a me c’è gente che bestemmia in lingue orientali. Fatto sta che dopo un’oretta arrivo a Messina, la città dello Stretto ma spero mai del Ponte. A quel punto devo reinventarmi il viaggio, per cui vado all’Ufficio assistenza clienti, dove una signora gentilissima mi prospetta una rosa di possibilità, tutte di merda. Per cui, nonostante fossi in possesso di un biglietto per Milano con un comodissimo posto a sedere (di cuccette neanche l’ombra) decido di prendere il primo treno per Roma, posto in piedi, sperando di beccare uno di quegli strapuntini in corridoio. Dopo più di un’ora di attesa, nella quale giustizio il mio secondo e ultimo panino (crudo ed emmenthal), prendo il suddetto treno e abbranco il primo strapuntino al quale riesco ad arrivare, che poi sarebbe il primo del corridoio, quello subito dopo la porta. Miei compagni di strapuntino si vengono a sedere negli altri e dopo un po’ il treno parte alla volta del Continente. Ma prima c’è da passare lo Stretto. Rimango sulla carrozza per paura che mi freghino la valigia per cui mi sorbisco tutta la traversata sul treno ad una temperatura tahitiana. Saranno già le undici della sera e a quell’ora sarei già dovuto essere in centro-sud Italia. Ma sono fermo inchiodato a Villa San Giovanni. Quando riparte il treno alla volta di Roma faccio un po’ il punto della situazione. Mi trovo seduto su uno scomodissimo sedile in corridoio, unico italiano a usufruire di cotanta meraviglia (accanto a me ci sono due giovani eritrei, o etiopi, più in là altri nordafricani, ogni tanto passa qualche esteuropeo). Le condizioni del treno sono spaventose. È sporchissimo, dal bagno arriva tanfo di urina ingrommata; la porta che separa l’entratina della carrozza dal corridoio non si chiude da sé come dovrebbe, per cui ogni volta che qualcuno la apre, tocca a me richiuderla ma nel frattempo il fetore ha preso posto nella mia zona. Quando poi i miei compagni di corridoio, come un sol uomo, si tolgono le scarpe, il gioco è fatto e l’effetto Geenna è assicurato. E per finire ci sono anche dei cani.
Vabbè, il treno parte e io penso che male che vada tra poche ore sarò a Roma. E infatti va male. Cerco di dormire un po’ ma è pressoché impossibile. L’unico modo per dormicchiare un tantino è con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani ma anche questo non va bene perché o la testa cade in avanti o a un certo punto arriva qualcuno che deve passare. Oppure con la testa appoggiata al muro, laddove c’è un bel maniglione passamano proprio all’altezza della nuca. Maniglione che nel mio caso era anche sporco di qualcosa e bisunto (ma me ne sono accorto solo dopo averci appoggiato la testa). E intanto io penso sempre al mio posticino a sedere, magari lasciato vuoto, sull’altro treno. Mi ero lamentato di non aver trovato una cuccetta e adesso darei dei soldi per averlo.
Questa è la situazione che dura praticamente per tutta la notte, fino all’arrivo a Roma. Alla stazione di Paola, in Calabria, sale un poliziotto in borghese (dio ce ne scampi), in realtà un energumeno che come atto di insediamento sbatte fuori un immigrato trovato senza biglietto, maltrattandolo verbalmente con la prosopopea tipica di chi ha a che fare con un poveraccio che non può neanche aprire bocca. Per cui sale, dicevo, e si insedia nel primo scompartimento, quello riservato ai dipendenti delle Ferrovie in servizio sul treno e che gli stessi avevano già provveduto a far sgomberare, visto che vi si erano insediati abusivamente degli immigrati. Il secondo atto del poliziotto, che in verità non è solo anche se i suoi colleghi mi sembrano molto più umani di lui (ma non ci voleva tanto), è quello di cazziare a sangue il tipo dei caffé. Avete presente il poveretto di una sessantina d’anni che sale clandestinamente sui treni di notte con un secchio pieno di bibite e un thermos pieno di caffé per portare a casa qualche euro (figura portata sullo schermo da Nino Manfredi nel bellissimo Café Express)? Ebbene, il nostro difensore della Legge, lo becca, se lo porta dentro lo scompartimento e lo fa stare una pezza, oltre al fatto che gli prende pure le generalità e poi gli intima di scendere alla prima fermata utile. La terza impresa del nostro uomo è stata quella di scovare e pesantemente sanzionare tre ragazzi che mettendo in palese pericolo l’incolumità della nazione, stavano fumando nel passaggio tra le carrozze. Avercene di cotali difensori della Legge. Sono questi che ci fanno dormire sonni tranquilli.
Insomma, fatto sta che in tutta la nottata avrò dormito sì e no 25 minuti. Alle sei del mattino arrivo a Roma, da dove ripartirò alla volta di Milano verso le nove. Integro il biglietto per Milano, essendo un Intercity, anche se dubito che qualcuno integrerà me per il disagio subito. Assisto allo svegliarsi della stazione Termini, e niente, solite cose: colazione, giornale, giro per l’enorme atrio, barboni, libreria, ma vvedi d’annattene, etc. etc. etc… Verso le nove-noveequalcosa prendo il treno per Milano. Il treno è sicuramente migliore di quello di prima, poi è giorno e ho anche un bel posto a sedere.
Nel frattempo Roberta, mia moglie, aveva costituito l’unità di crisi, tipo quelle della Farnesina. Sin da ieri sera, coordinando una task force costituita, oltre che da lei, anche da Carla, mia sorella, ed Elena, sua sorella, aveva seguito le mie evoluzioni lungo la linea ferrata d’Italia, per cui mi segnalava i treni da prendere. A Milano mi consiglia di agguantare il primo treno che possa portarmi a Como, che è quello che parte dopo mezz’ora e va a Zurigo. Ci sarebbe anche lì da pagare il supplemento però stavolta sono veramente stanco e anche abbastanza incazzato per farlo. Per cui decido di prenderlo lo stesso. Eccheccazzo. Pare che da Milano a Como non passi neanche il controllore per verificare i biglietti. Ora, secondo voi, il controllore è passato? Ovviamente sì. È passato mentre stavo sulla pedana in attesa di scendere alla stazione di Como S. Giovanni. Mi ha chiesto come mai non avessi il supplemento e gli ho raccontato brevemente questa storia, quella che ho raccontato a voi e che per me non era ancora finita, dopo 28 ore di viaggio. Non mi ha detto niente.

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