Prima di entrare nel merito della tua interessante e-mail, credo sia giusto togliere qualche dubbio sul come sia iniziata questa corrispondenza: se non altro in considerazione del fatto che ho già ricevuto qualche altro tuo messaggio, se non ricordo male; e credo che il tramite sia stato un altro Gaetano, quel Gaziano che ho conosciuto on-line qualche tempo fa, quando per caso lessi un suo accorato appello su un blog del "Corriere della Sera" a proposito del rigassificatore di porto Empedocle. Quel Gaziano con cui è nato uno scambio di opinioni e conoscenze a partire dalla spinosissima questione del rigassificatore, per allargarsi poi sulla nostra Sicilia e sul nostro Paese. Uno scambio ad alta temperatura civile, un confronto sulla realtà in cui viviamo, spesso condotto attraverso il filtro della letteratura. Perché sono convinto - come lo era Sciascia, che mi piace citare; e Gaetano si è detto subito d´accordo - che «Nulla di sé e del mondo sa la realtà degli uomini se la letteratura non glielo apprende». E da questa citazione vien facile volare alle tue, quelle riportate nella Lettera aperta ai ragazzi di Raffadali: per dirti che ancora una volta si dimostra come la letteratura (e in questo caso attraverso uno dei poeti più acuti e penetranti, per ceri versi un Kafka ante litteram che non starebbe male in unìintervista impossibile a Pirandello, magari sulle umane follie) sia una specola privilegiata di osservazione della realtà e dell'uomo: di una realtà difficile come quella in cui vivi (conosco l'agrigentino; a Raffadali sono stato una volta sola, ma tanto è bastato per cogliere la pesantissima cappa che vi grava sopra, a soffocarne le energie vitali...), dove credo non siano poche le difficoltà quando - come nel caso di "Ad Est" - si tenta di incidere qualche riga in quel lastrone di omertà e di omologazione (culturale, prima ancora che civile e politica) che schiaccia la città. E non che la realtà in cui vivo io sia poi tanto diversa. Anch'io - in passato - ho cercato di animare un fogli civile come il tuo. Si chiamava 'A chiazza: vi si provava a svegliare i miei tanti concittadini affetti da quel sonno che - come diceva il Principe di Salina - i siciliani (nobili e non) tanto amano. Era scoppiata (1994, 1995, 1996...) quella che fu poi detta la "primavera dei sindaci": alquanto imperfetta e incompiuta.
Beh, adesso non voglio farla lunga. Credo però che probabilmente avremo molte cose da dirci. Vorrei chiudere intanto all'ionsegna di quel gusto della citazione caro - a quanto pare - ad entrambi. Per tornare al tuo Baudelaire. E precisamente ad un'edizione delle Fleurs du Mal curate d a uno scrittore che amo particolarmente (insieme a Sciascia): il grande Gesualdo Bufalino, l'uomo che "aveva letti tutti i libri".
Così Bufalino concludeva l´introduzione dell´edizione mondadoriana (1983) - da lui stesso curata, dicevo, ma soprattutto tradotta; e che molto probabilmente anche tu conosci - delle Fleurs du Mal : "Non stupisce a questo punto che le Fleurs du Mal siano state, per tutto l´Ottocento e oltre, il Libro dei Libri, il diamante sul quale si sono curvati a specchiarsi i poeti puri e gli impuri, i lucratori della realtà e i profeti della visione. In effetti non c´era pascolo più ricco: il «sublime d´en bas» vi confina col «sublime d´en haut», l´anagramma linguistico con lo psicogramma morale; e tutti i brividi dell´esistenza vi si ritrovano: la misericordia, la crudeltà, il duello con Dio e con se stessi, l´attrattiva della solitudine e della follia, l´orgoglio, l´abbandono, la servitù e la grandezza della pena d´amore. Non c´è turbamento umano che non sia qui incalzato e amato, nessuno che non vibri dentro questo libro atroce, come l´autore stesso volle chiamarlo. Noi preferiremmo vederci un breviario non meno consolante che sconsolato, un´esca di fuoco rimasta a bruciare fra le ceneri di un cuore ostinatamente bambino".
Spero di ricevere presto tue notizie.
Un caro saluto.
Giuseppe Giglio
Nessun commento:
Posta un commento