giovedì 4 giugno 2009

Tempo di elezioni


di Michelangelo La Rocca


Avevo scritto qualche settimana fa che non sapevo se sarei andato a votare, né per chi avrei votato.

Avevo scritto che mi sentivo disorientato, senza una bussola politica, privo di passione ed entusiasmo politico e che,

a pochi giorni dal voto, non riuscivo ad individuare motivi politicamente validi per varcare la soglia del seggio ed entrare con convinzione nella cabina elettorale per impugnare la matita copiativa.

Ora il voto si avvicina ed il richiamo del diritto-dovere del voto si fa sempre più forte ed ogni giorno che passa diventa sempre di più un imperativo categorico e così ho deciso che anche questa volta farò il mio dovere di cittadino, di uomo democratico e di sinistra.

Più lo scenario politico diventa sconcertante, squalificato, desolante e deprimente e più cresce la chiamata alle urne, la voglia di contribuire a cambiare questo sfortunato Paese o, quantomeno, a rallentare la sua inarrestabile corsa verso un precipizio senza ritorno ed una sua ineluttabile deriva.

Fin che c’è democrazia c’è speranza, ed allora vale ancora la pena di provare a difendere questo spazio di democrazia sempre più piccolo, sempre più a rischio.

Mi ha convinto Vincenzo Lombardo- il segretario della mia sezione quando presi la tessera del PCI nel 1975- che a distanza di più di trent’anni ringrazio per avermi onorato del suo voto.

Vincenzo ha detto che “andrà a votare, senza tentennamenti e senza angosce” e che voterà “la lista comunista anticapitalista,non con lo sguardo rivolto ad un passato che forse non tornerà facilmente”
Ha aggiunto che “ il suo voto guarda al presente e al futuro. Vuole essere una contestazione al modello di sviluppo imposto all'umanità dal liberismo a partire dagli anni '80. Uno sviluppo quantitativo imperniato sullo sfruttamento globale del lavoro e dell'ambiente spinto dalla bramosia dell'accumulazione e del profitto”.

Io non ho le certezze di Vincenzo, ma ne apprezzo la coerenza mai scalfita dal trascorrere inesorabile del tempo.

Il tempo, però, come dice Battiato, cambia tante cose nella vita.

E all’inizio del terzo millennio non si può fare finta di niente, come se il muro di Berlino non fosse ancora caduto, come se non ci fosse stato lo stalinismo, il crollo dell’Urss e di tutto un preciso sistema politico, economico e sociale.

Questo discorso vale per il comunismo, per come si è fin’ora manifestato, ma vale ancora di più per il liberismo senza regole, per il capitalismo selvaggio.

Se il 1989 ha rappresentato l’anno di morte del comunismo, il 2009, culminato nel crollo delle borse e nella nazionalizzazione della General Motors, costituisce l’epitaffio del capitalismo.

E si capisce come il futuro abbia bisogno di strade nuove e, non per niente, già trent’anni fa Enrico Berlinguer, nella generale incomprensione, parlava della necessità di una “terza via”.

Mi ha convinto, anche, Gaetano Alessi quando ha affermato che non a “caso, il primo Parlamento senza la sinistra è quello in cui passano impunemente i peggiori raggiri della democrazia e della libertà sotto forma di leggi ad personam, contro i lavoratori, xenofobe quando non fasciste”.

Mi ha convinto, inoltre, Michele Serra dicendo “ che proprio adesso che il momento è durissimo, ci tocca stringere i denti e provare a tenere insieme quello che resta, politicamente parlando, di noi stessi. Più per rispetto di noi stessi, appunto, che della sdrucita classe dirigente che prova in qualche modo a rappresentarci”.

Mi ha convinto, infine, Eugenio Scalfari sostenendo che“ bisogna che i deboli diventino forti, bisogna che i deboli si sentano forti, altrimenti tutto è perduto” e che “ “non ha senso criticare Berlusconi ed astenersi”.

“Non ha senso proclamarsi di sinistra e astenersi. Non ha senso avvertire sulla propria pelle l’imbarbarimento sociale ed astenersi. Non ha senso temere una svolta autoritaria che è sotto gli occhi tutti ed astenersi.”

Ma mi ha convinto, soprattutto, Francesco Milani, un lettore dell’Unità che, rispondendo alla mia lettera a tale quotidiano, ha detto cheoggi non si vota per il governo ma per una questione di dignità”.

La mia voleva essere una provocazione, una provocazione per dare una scossa, una scossa prima di tutto… a me stesso. Sapevo, conoscendomi bene, che alla fine avrei fatto il mio dovere di elettore. E lo farò anche questa volta, lo farò nel modo giusto, sperando che prima o poi i nostri dirigenti sentano il dovere di meritarsi il nostro...eroismo politico!E' una speranza vana?

1 commento:

Anonimo ha detto...

No, non è una speranza vana ... è l'unica sensazione che ci aiuta ad andare alle urne. Ma è anche vero, che di speranza si tratta ed è tristemente utopico come concetto.