«Le eredità di Vittoria Giunti» è un piccolo miracolo.
Non mi fa velo l’affetto e l’amicizia verso Gaetano Alessi, il caparbio autore di questo libro che in poche pagine riesce a dar conto di una vita, delle speranze di una generazione, del clima di una Sicilia povera e contadina.
Poco potrei dire della protagonista del libro che non si possa evincere dalla lettura attenta delle parole che la stessa signora Vittoria ha affidato a Gaetano in una sorta di lascito spirituale commosso e commovente. La passione culturale, politica e umana, l’amore che spinse la giovane partigiana a scegliere la Sicilia come terra d’elezione, le battaglie politiche per redimere una terra che sempre si presenta come irredimibile, l’assistere al tramonto di ideali con animo mai lugubre ma sempre animato dalla certezza di non aver riposto le proprie speranze nell’ideale sbagliato. Tutto questo fu Vittoria Giunti e, dalle pagine del libro, questo ritratto appare con icastica e affettuosa precisione.
Voglio richiamare, piuttosto, l’attenzione su un triplice effetto che la lettura del libro ha suscitato in un lettore certo non indifferente come me.
Nel leggere le parole della signora Vittoria riportate da Gaetano Alessi ho subito un effetto di fascinazione, un effetto di rimpianto e un effetto di angoscia.
Fascinazione, certo, per la figura imponente della signora Vittoria, per il suo coraggio, per la limpidezza delle sue scelte umane e politiche. Fascinazione, anche, per una generazione, quella della Resistenza, che ha saputo unire tensione ideale e azione politica, spinta etica e lotta quotidiana. Fascinazione per un universo ideale che solo gli ignoranti e i beceri nani della politica odierna possono confondere con la sua deturpata traduzione storica in un determinato contesto culturale e geopolitico.
Rimpianto, poi, per un mondo che è scomparso sotto i nostri occhi senza che potessimo far nulla per trattenerlo. Rimpianto per una cultura, quella contadina, che è scomparsa e di cui oggi molti si vergognano, senza che sia sorta un’altra cultura a sostituirla. La Raffadali, povera ma ricca di valori e “cultura”, che trovò Vittoria Giunti al suo arrivo in Sicilia, è stata sostituita da una Raffadali apparentemente ricca (almeno a giudicare dalle lussuose automobili e dalla pacchiana ostentazione di villini) ma culturalmente talmente povera da risultare deprimente.
Angoscia, infine, per la consapevolezza di vivere in un’età, in una Italia, nella quale non ci sono più, o stanno sparendo, donne come Vittoria Giunti (ma potrei citare Nilde Iotti, Tina Anselmi, Margherita Hack…) e, invece salgono agli onori delle cronache donne delle quali è vergognoso anche citare il nome. Per non parlare degli uomini.
Un piccolo miracolo, dicevo, il libro di Gaetano, perché alla fine della lettura è capace di regalare una speranza, un respiro ampio, un sorriso. Quello stesso sorriso che la signora Vittoria ha sempre donato, fino alla fine.
Non mi fa velo l’affetto e l’amicizia verso Gaetano Alessi, il caparbio autore di questo libro che in poche pagine riesce a dar conto di una vita, delle speranze di una generazione, del clima di una Sicilia povera e contadina.
Poco potrei dire della protagonista del libro che non si possa evincere dalla lettura attenta delle parole che la stessa signora Vittoria ha affidato a Gaetano in una sorta di lascito spirituale commosso e commovente. La passione culturale, politica e umana, l’amore che spinse la giovane partigiana a scegliere la Sicilia come terra d’elezione, le battaglie politiche per redimere una terra che sempre si presenta come irredimibile, l’assistere al tramonto di ideali con animo mai lugubre ma sempre animato dalla certezza di non aver riposto le proprie speranze nell’ideale sbagliato. Tutto questo fu Vittoria Giunti e, dalle pagine del libro, questo ritratto appare con icastica e affettuosa precisione.
Voglio richiamare, piuttosto, l’attenzione su un triplice effetto che la lettura del libro ha suscitato in un lettore certo non indifferente come me.
Nel leggere le parole della signora Vittoria riportate da Gaetano Alessi ho subito un effetto di fascinazione, un effetto di rimpianto e un effetto di angoscia.
Fascinazione, certo, per la figura imponente della signora Vittoria, per il suo coraggio, per la limpidezza delle sue scelte umane e politiche. Fascinazione, anche, per una generazione, quella della Resistenza, che ha saputo unire tensione ideale e azione politica, spinta etica e lotta quotidiana. Fascinazione per un universo ideale che solo gli ignoranti e i beceri nani della politica odierna possono confondere con la sua deturpata traduzione storica in un determinato contesto culturale e geopolitico.
Rimpianto, poi, per un mondo che è scomparso sotto i nostri occhi senza che potessimo far nulla per trattenerlo. Rimpianto per una cultura, quella contadina, che è scomparsa e di cui oggi molti si vergognano, senza che sia sorta un’altra cultura a sostituirla. La Raffadali, povera ma ricca di valori e “cultura”, che trovò Vittoria Giunti al suo arrivo in Sicilia, è stata sostituita da una Raffadali apparentemente ricca (almeno a giudicare dalle lussuose automobili e dalla pacchiana ostentazione di villini) ma culturalmente talmente povera da risultare deprimente.
Angoscia, infine, per la consapevolezza di vivere in un’età, in una Italia, nella quale non ci sono più, o stanno sparendo, donne come Vittoria Giunti (ma potrei citare Nilde Iotti, Tina Anselmi, Margherita Hack…) e, invece salgono agli onori delle cronache donne delle quali è vergognoso anche citare il nome. Per non parlare degli uomini.
Un piccolo miracolo, dicevo, il libro di Gaetano, perché alla fine della lettura è capace di regalare una speranza, un respiro ampio, un sorriso. Quello stesso sorriso che la signora Vittoria ha sempre donato, fino alla fine.
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