giovedì 18 giugno 2009
Vittoria Giunti: Graziella Pecoraro Intervista per "L'Altra Agrigento" Gaetano Alessi
di Graziella Pecoraro*
La storia mai raccontata della prima donna Sindaco in Sicilia, un giovane scrittore, una promessa. Ed è sulla scia di questa promessa che Gaetano Alessi ci racconta la straordinaria vita di una grande donna attraverso un piccolo volume “Le eredità di Vittoria Giunti”.
Vittoria, partigiana matematica, scelse la Sicilia ad un ambizioso futuro accademico e politico che le si prospettava altrove. La storia “di chi visse la propria esistenza per il bene della comunità”. Alessi ci spiega nelle pagine del libro come la rivista “Ad Est”, del quale è caporedattore, sia legata a Vittoria: “conoscevo Vittoria Giunti. Sapevo che era la moglie di Salvatore Di Benedetto. Comandante partigiano, Senatore e Sindaco per oltre quarant’anni di Raffadali. Ma fino al 1999 non sapevo “chi fosse” Vittoria Giunti”. Un giorno chiesi a Di Benedetto di fare l’intervento d’apertura per un cineforum che era in corso. Il film era “Roma città aperta” sulla resistenza. Il senatore rifiutò, aveva già un altro impegno, ma Vittoria con voce gentile, quasi timida disse: “se vuoi te ne parlo io. La casa di quel film era quella in cui mi nascondevo”.
Vittoria Giunti fece l’intervento in una sala gremita di ragazzi affascinati dal carisma di una donna che sapeva non raccontare, ma trasmettere con parole chiare, semplici, emozioni uniche.
Dopo quella serata Vittoria divenne parte di ognuno di noi. Cercai in tutti i modi di farla parlare di Lei. Ad ogni mia richiesta si opponeva un garbato rifiuto. Fino a che un giorno mi volle vedere per propormi uno scambio.”vieni a trovarmi e parliamo un po’, ma in cambio dai la possibilità a tutti di trasmettere le proprie idee: fonda un giornale”. “Ad Est” nasce così!”.
Conoscendo Alessi e la sua storia scopriremo come a volte coraggio e passione misti a una innata vena di “pazzia” idealista possono far vincere delle piccole ma importanti battaglie.“Ad Est” nasce quindi sotto la spinta di Vittoria.
“Nasce per due motivi. Il primo fu la spinta di Vittoria, come racconto nel libro, la seconda ragione è data da un moto di reazione al silenzio che era caduto in paese dopo la prima storica sconfitta della sinistra dopo 50 anni. Un silenzio che cercammo in maniera del tutto folle di incrinare con la nascita del giornale e del gruppo che poi man mano si formò”.
E ci siete riusciti? Quali gli obiettivi raggiunti in questi anni?
“Credo di sì. Trentacinque numeri in sei anni e tre mesi di vita. Tirature oltre le mille copie con una distribuzione capillare in tutti i quartieri. Tutto assolutamente gratuito. Le vittorie sono state tantissime. Dall'abolizione del gettone di presenza dei consiglieri comunali (penso unico caso in Italia molto prima del grillismo), bonifica di aree dismesse, un nuovo fermento culturale e antimafia sfociato con la presenza di ben due tappe della carovana antimafia di Ciotti, e comunque un controllo serrato delle attività amministrative che ha fatto si che alcune cose da “favori” diventassero nuovamente diritti. Ma quello che ci sta più a cuore è che “Ad Est” è stata una palestra per oltre 50 ragazzi di libera opinione e crescita.
In quel fronte sicuramente l'esperienza di “Ad Est” ha vinto”.
Tutto completamente autofinanziato?
“Si tutto dai cinque fondatori che poi nel corso del tempo sono diventati quattro, oltre qualche contributo che ogni tanto arriva dalle persone. Ma la nostra posizione avversa alle politiche, non tanto di centro destra, (scriveva su “Ad Est” anche l'attuale assessore dell'Udc Luigi Argento), ma verso il “cuffarismo” clientelare ci ha portato spesso in condizioni d'isolamento pesante. Quindi capirai che era "pericoloso" fare spuntare il proprio marchio su “Ad Est”, si rischiava, per esempio, di essere esclusi dall'assegnazione dei piani commerciali. Abbiamo fatto sempre tutto con i nostri stipendi, vivendo momenti difficilissimi o difficili come quello attuale”.
Qualcuno vi ha mai invitati a lasciar perdere o quanto meno a dirvi “chi ve lo fa fare”?
Sempre. La frase "chi ve lo fa fare" campeggia come costante della nostra attività. Anche perché nel corso dei sei anni le intimidazioni non sono mai mancate. Lettere anonime, lasciate sul cruscotto delle auto, ed altre cose che sinceramente non fanno piacere. Però Vittoria diceva "l'uscita è sempre avanti". Speriamo sia vero”.
Ritornando a Vittoria. Quale è stata la prima cosa che ti ha colpito della sua persona?
“La sua assoluta curiosità. Era una donna di oltre ottanta anni, ma ascoltava le nostre parole con l'entusiasmo di una giovane che deve ancora formarsi. Poi ogni suo movimento, ogni suo gesto, profumava di pulito, di candido”.
Il tuo libro nasce soprattutto da un atto d'amore.
“ È il mantenimento di una promessa. Vittoria sul letto di morte volle affidare a noi il suo saluto al paese. Un paese per cui aveva abbandonato tutte le sue aspirazioni personali, da quelle politiche a quelle accademiche, un paese che ha amato e dal quale è stata amata”.
Chi sono i partigiani di oggi?
“Chiunque cerchi ancora di non omologarsi”.
Secondo te, perché il termine "comunista" viene più spesso utilizzato come insulto?
“Per due motivi credo. Dagli “ex” perché non riuscendo a tenere il termine di paragone con la generazione precedente, in tenuta morale, in senso di solidarietà e onestà, non solo verso se stessi ma verso la cosa pubblica, cercano in tutti i modi di non far vedere quanto siano inadeguati.
E da quelli dell'altra parte per un normale senso di rivalsa. Per 50 anni sono stati costretti a competere con una forza a cui non potevano dire nulla. Se nell’ ‘81 Berlinguer poteva sollevare la questione morale era perché certo che il PCI fosse totalmente estraneo alla corruzione”.
Secondo te ci sono speranze oggi per questa sinistra?
“Si. Corsi e ricorsi storici spesso si rincorrono. Come ad ogni inizio secolo vi è una caduta di idee e di idealità. Credo però si debba ripartire dal senso di solidarietà che ha fatto grande la storia della sinistra del ‘900 poi il resto verrà da se”. Una riflessione. Vittoria durante un discorso disse: “la storia è fatta, non solo dai condottieri e dai leaders ma da chi non avrà mai il proprio nome ricordato sui libri di storia…“Ed è verissimo.
Se penso alla storia di “Ad Est” penso a due ragazzi Alessandro Nocera, Peppe Butticè e di un grande amico Aldo Virone, che non hanno mai scritto un rigo, sempre in ultima fila quando c'era da prendersi gli onori, ma in prima fila quando c'era da caricarsi gli oneri.
Senza di loro, e molti altri questo progetto non sarebbe mai andato avanti. Leader non è chi ci mette la faccia e prende gli applausi. Leader è chi ti permette di poterlo fare”.
*Pubblicata da "L'Altra Agrigento".
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