di Agostino Spataro
Oltre la pietà, interventi e finanziamenti adeguati . Ad una settimana dal tragico disastro del messinese, c’è un fatto che colpisce più di altri: l’inadeguatezza dei governi nel fronteggiare la situazione e soprattutto nel delineare un’ipotesi di ricostruzione suffragata da congrui stanziamenti. E’ vero. Verso i morti di Messina non c’è la stessa attenzione e sensibilità registratasi in altri eventi calamitosi. Scarseggia perfino la pietà, come ha scritto Francesco Merlo. Anche quella pelosa, ipocrita che, solitamente, abbonda in occasione di fatti certo tristi, ma non gravi come quelli avvenuti in Sicilia. Tuttavia, in questo momento, ciò che più interessa sono la capacità, la celerità, l’efficienza dell’intervento pubblico. La valentia di un governo si vede proprio in frangenti come questi.
Purtroppo, bisogna constatare che quei paesi restano ancora impantanati nel fango assassino, mentre i responsabili giocano a scaricabarile, ognuno cercando di allontanare da se le gravissime responsabilità, in certi casi colpe, del disastro che la magistratura s’appresta ad accertare.
Insomma, una scena già vista: paesi, territori sconquassati e illese impunità.
La sensazione è quella dell’impasse. Da quel mare di fango stanno emergendo le contraddizioni dell’imbrogliata maggioranza di governo alla Regione e i limiti di un ceto politico colto impreparato da un disastro da tutti annunciato ma non prevenuto. Davvero sconcertanti appaiono le dichiarazioni contrastanti di membri della giunta Lombardo a proposito del progetto di legge sulla casa. Ma anche il governo nazionale annaspa. Forse pensando di cavarsela con le promesse di Berlusconi e dei suoi ministri che insistono sulla realizzazione del ponte, invece di correre ai ripari per fare uscire la Sicilia dal dissesto idrogeologico, dall’arretratezza infrastrutturale, da un abusivismo diffuso e devastante.
L’Isola, rifugio involontario d’interessi inconfessabili. Ci volevano i morti, innocenti, di Messina per scoprire la condizione di precarietà e d’illegalità in cui si trovano interi territori e città.
Il disastro, infatti, è solo una spia di una realtà molto più vasta, siciliana e meridionale.
Di fronte a questo allarmante scenario i governi si mostrano confusi, incapaci di trovare le soluzioni più appropriate. Ed è questa inadeguatezza il dato che più preoccupa giacché non s’intravede nulla di buono per le popolazioni colpite e per il futuro dell’Isola.
Si teme che, dopo i funerali, l’allarme, la mobilitazione andranno via via scemando e tutto rientrerà nella placida anormalità di questa terra bellissima divenuta rifugio involontario di politiche eterogenee e d’interessi inconfessabili. Nel vivo della tragedia molti si sono chiesti i motivi di tale, anacronistica situazione, le cause della mancata modernità siciliana. Un interrogativo antico cui non è facile rispondere, per nessuno. Nemmeno per quei siciliani illustri i quali, forse per il fatto di operare a Roma o a Milano, hanno dimenticato che tutto quello che qui accade, più nel male che nel bene, è sempre funzionale agli interressi politici ed economici del centro-nord italiano. Con ciò non ci si vuole costituire un alibi per non cambiare, per giustificare il nostro lentore, ma semplicemente evidenziare la complessità della situazione e ricordare agli smemorati il ruolo subalterno assegnato alla Sicilia all’interno del meccanismo di sviluppo nazionale. Certo, sono innegabili, e talvolta anche gravi, le responsabilità specifiche, isolane. Tuttavia, i siciliani onesti e volenterosi più volte hanno tentato di fuoriuscire da questa realtà.
Il risultato è una lunga lista di sconfitte e di martiri.
Fuggire o restare, non è questo il problema
Insomma, da soli non ce la fanno. Il cambiamento verrà nella misura in cui la Sicilia sarà coinvolta nello sforzo di rinnovamento del Paese e di costruzione della nuova dimensione euro mediterranea. Invece di nuove chiusure (federaliste o peggio separatiste) c’è necessità di aprirsi all’Europa e al mondo, alle grandi correnti di rinnovamento culturale e tecnologico.
La Sicilia arranca perché è devastata dal malgoverno e dalla cattiva amministrazione, impoverita delle sue migliori risorse umane e bloccata da questa “autonomia”trasformata in un recinto, dominato da forze oscure e potenti, che la separa dai processi d’innovazione che si stanno svolgendo in Italia e in Europa. Una condizione quasi disperata dalla quale è più facile fuggire che restare. Non mi riferisco allo scorato sfogo di Oliviero Toscani il cui abbandono semmai conferma l’improbabilità di certe presenze catapultate dall’esterno, specie quando non si fondono con movimenti reali di rinnovamento. Il problema della fuga, dell’esodo direi, esiste. Non certo per mancanza di coraggio, ma di un lavoro degno e di opportunità.
La Sicilia si sta svenando offrendo, gratuitamente, alle ricche regioni del centro-nord le sue forze migliori ossia decine, centinaia di migliaia di giovani migranti diplomati e laureati.
A fronte di tutto ciò, vediamo una classe dirigente, non solo politica, che non sa guardare in avanti e nemmeno indietro, ma solo a questo effimero presente, a caccia di voti e d’affari leciti ed illeciti.
* pubblicato, con altro titolo, in “La Repubblica” del 8 ottobre 2009.
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