di Agostino Spataro
Forse, in questi giorni, finalmente sapremo dove vorrebbe andare a parare il governatore Lombardo.
La manfrina è durata troppo a lungo. E’ tempo che egli sveli al parlamento e ai siciliani l’arcano, il suo vero progetto di fuoriuscita da questa anomala e aggrovigliata crisi. Se ce l’ha.
Giacché non si può qualificare progetto la chiamata “a chi ci sta” che è esattamente il suo contrario.
Il “forse” è d’obbligo visti i precedenti e il divenire, confuso e reticente, delle posizioni politiche di maggioranza e anche d’opposizione.
Una situazione ingarbugliata sulla quale, per altro, pesa come un macigno la mozione di censura nei confronti dell’assessore Armao che non può essere solo agitata né più rinviata per rimuoverla dall’agenda politica e parlamentare.
La questione esiste e da più parti è stata palesata e documentata. Perciò, va affrontata e risolta in Assemblea, secondo le scadenze e le modalità previste, o dal governatore come buon senso vorrebbe.
Per come si son messe le cose, il problema più si trascina insoluto più si configura come un banco di prova essenziale per la credibilità del governo e della stessa Assemblea.
D’altra parte, si tratta di una vicenda politica e morale che non è stata inventata dalla stampa, ma è stata denunciata, per prima, dal Pd, dall’Udc e dal PdL che insieme, rappresentano la maggioranza del parlamento siciliano.
Una questione morale, dunque, che l’Ars è tenuta a discutere, prioritariamente.
Solo dopo avere sgomberato il terreno da tornaconti particolaristici e da conflitti d’interressi, evidenti o latenti, si potrà passare a discutere di crisi politica e delle possibili soluzioni per risolverla, sapendo che non si tratta di gestire un passaggio ordinario, ma una situazione inedita e per molti versi anomala.
In altri tempi, il discorso sarebbe stato semplice, lineare, consequenziale: un presidente che non aveva più (o non desiderava più) la maggioranza che l’aveva eletto ne prendeva atto e rimetteva il mandato.
Oggi- si dice- è diverso, ma non tanto. In un sistema bipolare, l’elezione diretta impone una serie di vincoli morali e politici all’eletto, il quale- nel nostro caso- non può dimenticare che, meno di due anni fa, i siciliani l’hanno votato come espressione della coalizione di centro- destra.
E se questa coalizione entra in crisi, si sfalda il governatore non può cercarne un’altra.
Per altro, Lombardo ha abbondantemente usufruito del “voto congiunto” ossia di un meccanismo che attribuisce, automaticamente, al candidato-presidente ogni voto dato alle liste apparentate.
Basterebbe fare un po’ di conti per rilevare quanto c’è di suo e/o degli altri nella sua elezione a presidente della regione.
Certo, questo argomento è anche usato dai “lealisti” del PdL e dall’Udc per richiamare Lombardo a ricomporre la maggioranza uscita dalle urne. Sarà, ma non per questo è meno valido, meno corretto.
Un’altra coalizione, comunque assortita, sarebbe un inciucio o- se si preferisce- un ribaltone. E in Sicilia ne abbiamo avuto già uno (di ribaltone) con esiti a dir poco disastrosi per la regione e per la sinistra che vi si è prestata.
In questa fase, è importante salvaguardare l’idea di un’alternativa al centro-destra che si è rivelato fallimentare a Roma come a Palermo e la necessità del rispetto delle regole della politica e, soprattutto, della volontà degli elettori.
Regole e volontà che si vorrebbero calpestare solo per far luogo ad un inciucio, senza testa né coda.
Ma poi- molti si domandano- questa ineffabile apertura di Lombardo (e Miccichè) al Partito democratico è vera o è solo un artifizio polemico per spaventare i “lealisti” del Pdl e l’Udc e riportarli a più miti pretese?
Il governatore desidera sul serio, è pronto ad operare il distacco da Berlusconi richiesto dal Pd come pre-condizione per l’avvio di un dialogo?
Ammesso e non concesso che Lombardo lo voglia, Micciché ripudierebbe il suo maestro e mentore? E più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago e non che il sottosegretario possa abbandonare Berlusconi (e Dell’Utri).
Si farebbe un governo di minoranza Mpa - Pd?
Su quali programmi, strutture, uomini, scadenze e garanzie si dovrebbe basare un governo di svolta per il cambiamento?
Favole. Favole della crisi di questa società opaca, senza più utopie, dove si agitano ceti dirigenti, improvvisati e mediocri, capaci soltanto di galleggiare in un mare di relitti, “inadatti- come scrive Cioran- sia al trionfo sia allo sfacelo”
Questi ed altri interrogativi rendono altamente improbabile, se non impossibile, l’ipotesi di un nuova giunta allargata al Pd, sia per l’oggi che per il domani.
Se a ciò si aggiungono le gravi conseguenze politiche che ne deriverebbero per la tenuta del precario quadro politico siciliano e nazionale allora si può, agevolmente, dedurre che trattasi della solita manovra strumentale che mira ad usare il Pd come minaccia per far rinsavire Castiglione e Cuffaro e riportarli ad una condizione di ubbidienza debita.
Sarebbe questo un raggiro mortale per il ruolo alternativo che il Pd potrebbe giocare, anche in Sicilia, ora che finalmente sembra aver ritrovato la sua unità di fronte alla crisi lacerante e alle profferte ambigue del centro-destra.
* pubblicato, con altro titolo, in La Repubblica del 1/12/09
Forse, in questi giorni, finalmente sapremo dove vorrebbe andare a parare il governatore Lombardo.
La manfrina è durata troppo a lungo. E’ tempo che egli sveli al parlamento e ai siciliani l’arcano, il suo vero progetto di fuoriuscita da questa anomala e aggrovigliata crisi. Se ce l’ha.
Giacché non si può qualificare progetto la chiamata “a chi ci sta” che è esattamente il suo contrario.
Il “forse” è d’obbligo visti i precedenti e il divenire, confuso e reticente, delle posizioni politiche di maggioranza e anche d’opposizione.
Una situazione ingarbugliata sulla quale, per altro, pesa come un macigno la mozione di censura nei confronti dell’assessore Armao che non può essere solo agitata né più rinviata per rimuoverla dall’agenda politica e parlamentare.
La questione esiste e da più parti è stata palesata e documentata. Perciò, va affrontata e risolta in Assemblea, secondo le scadenze e le modalità previste, o dal governatore come buon senso vorrebbe.
Per come si son messe le cose, il problema più si trascina insoluto più si configura come un banco di prova essenziale per la credibilità del governo e della stessa Assemblea.
D’altra parte, si tratta di una vicenda politica e morale che non è stata inventata dalla stampa, ma è stata denunciata, per prima, dal Pd, dall’Udc e dal PdL che insieme, rappresentano la maggioranza del parlamento siciliano.
Una questione morale, dunque, che l’Ars è tenuta a discutere, prioritariamente.
Solo dopo avere sgomberato il terreno da tornaconti particolaristici e da conflitti d’interressi, evidenti o latenti, si potrà passare a discutere di crisi politica e delle possibili soluzioni per risolverla, sapendo che non si tratta di gestire un passaggio ordinario, ma una situazione inedita e per molti versi anomala.
In altri tempi, il discorso sarebbe stato semplice, lineare, consequenziale: un presidente che non aveva più (o non desiderava più) la maggioranza che l’aveva eletto ne prendeva atto e rimetteva il mandato.
Oggi- si dice- è diverso, ma non tanto. In un sistema bipolare, l’elezione diretta impone una serie di vincoli morali e politici all’eletto, il quale- nel nostro caso- non può dimenticare che, meno di due anni fa, i siciliani l’hanno votato come espressione della coalizione di centro- destra.
E se questa coalizione entra in crisi, si sfalda il governatore non può cercarne un’altra.
Per altro, Lombardo ha abbondantemente usufruito del “voto congiunto” ossia di un meccanismo che attribuisce, automaticamente, al candidato-presidente ogni voto dato alle liste apparentate.
Basterebbe fare un po’ di conti per rilevare quanto c’è di suo e/o degli altri nella sua elezione a presidente della regione.
Certo, questo argomento è anche usato dai “lealisti” del PdL e dall’Udc per richiamare Lombardo a ricomporre la maggioranza uscita dalle urne. Sarà, ma non per questo è meno valido, meno corretto.
Un’altra coalizione, comunque assortita, sarebbe un inciucio o- se si preferisce- un ribaltone. E in Sicilia ne abbiamo avuto già uno (di ribaltone) con esiti a dir poco disastrosi per la regione e per la sinistra che vi si è prestata.
In questa fase, è importante salvaguardare l’idea di un’alternativa al centro-destra che si è rivelato fallimentare a Roma come a Palermo e la necessità del rispetto delle regole della politica e, soprattutto, della volontà degli elettori.
Regole e volontà che si vorrebbero calpestare solo per far luogo ad un inciucio, senza testa né coda.
Ma poi- molti si domandano- questa ineffabile apertura di Lombardo (e Miccichè) al Partito democratico è vera o è solo un artifizio polemico per spaventare i “lealisti” del Pdl e l’Udc e riportarli a più miti pretese?
Il governatore desidera sul serio, è pronto ad operare il distacco da Berlusconi richiesto dal Pd come pre-condizione per l’avvio di un dialogo?
Ammesso e non concesso che Lombardo lo voglia, Micciché ripudierebbe il suo maestro e mentore? E più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago e non che il sottosegretario possa abbandonare Berlusconi (e Dell’Utri).
Si farebbe un governo di minoranza Mpa - Pd?
Su quali programmi, strutture, uomini, scadenze e garanzie si dovrebbe basare un governo di svolta per il cambiamento?
Favole. Favole della crisi di questa società opaca, senza più utopie, dove si agitano ceti dirigenti, improvvisati e mediocri, capaci soltanto di galleggiare in un mare di relitti, “inadatti- come scrive Cioran- sia al trionfo sia allo sfacelo”
Questi ed altri interrogativi rendono altamente improbabile, se non impossibile, l’ipotesi di un nuova giunta allargata al Pd, sia per l’oggi che per il domani.
Se a ciò si aggiungono le gravi conseguenze politiche che ne deriverebbero per la tenuta del precario quadro politico siciliano e nazionale allora si può, agevolmente, dedurre che trattasi della solita manovra strumentale che mira ad usare il Pd come minaccia per far rinsavire Castiglione e Cuffaro e riportarli ad una condizione di ubbidienza debita.
Sarebbe questo un raggiro mortale per il ruolo alternativo che il Pd potrebbe giocare, anche in Sicilia, ora che finalmente sembra aver ritrovato la sua unità di fronte alla crisi lacerante e alle profferte ambigue del centro-destra.
* pubblicato, con altro titolo, in La Repubblica del 1/12/09
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