martedì 15 dicembre 2009

MINARETI E CROCEFISSI, UNA PERICOLOSA MISTIFICAZIONE

MINARETI E CROCEFISSI, UNA PERICOLOSA MISTIFICAZIONE

di Agostino Spataro


Due minoranze prevaricano due stragrandi maggioranze- Sicurezza: chi specula e chi la difende- L’illustre precedente della moschea di Roma- Dal dialogo nasce la prosperità condivisa, dalla guerra solo morte e nuove povertà- Quando l’Italia aveva una politica estera- Il Nobel per la pace che prosegue la guerra- L’import italiano d’idrocarburi: una dipendenza eccessiva da Russia e Libia - Conflitto fra religioni: un’indegna mistificazione- Cristo non ha bisogno di nuovi crociati- Se un non-credente s’impegna per far costruire un luogo di culto.



Due minoranze di fanatici prevaricano due stragrandi maggioranze
Ci risiamo. Di nuovo minareti e crocefissi branditi come spade in questa guerra di simboli che può degenerare in guerra vera. E’ accaduto in passato, anche in Europa, accade, oggi, in tante parti del mondo.
Ancora una volta, Occidente, sempre meno cristiano, e Oriente, sempre più islamico, si guardano in cagnesco a causa di due rumorose minoranze, fanatiche quanto ipocrite, che usano i simboli religiosi per imporre un nuovo “scontro di civiltà” a due sterminate maggioranze già ingravidate dei semi malefici dell’odio e dell’intolleranza.
E, alla fine, il mostro nascerà e porterà distruzione e morte fra i nostri popoli impauriti e confusi.
Ma, davvero, non c’è nulla da fare per fermare il fanatismo?
Più il tempo passa più il pericolo si accresce, anche perché dietro questo agitar di simboli spirituali si celano interessi molto materiali, economici e politici.
Tuttavia, le due maggioranze, recuperate alla ragione, sono ancora in grado di sconfiggere i fomentatori di odio e ricacciarli negli anfratti da cui provengono.
Occorrono una generale presa di coscienza e una volontà determinata per ripristinare, in uno spirito di pace e di cooperazione, un dialogo fra popoli e Stati che era stato avviato con successo, non molto tempo fa.

Sicurezza: chi specula e chi la difende
Dopo questo necessario preambolo, andiamo all’attualità, alle ultime polemiche provocate dai leghisti che vorrebbero usare la vittoria del referendum svizzero anti-minareti per scatenare in Italia la caccia all’islamico, dopo quella all’immigrato e a tutti i circolanti “diversi” rispetto al prototipo umano che pretendono di rappresentare.
Nessuno disconosce che la presenza islamica può comportare qualche problema alle comunità d’accoglienza. Si tratta, in gran parte, di problemi risolvibili con la conoscenza e la tolleranza reciproche. Secondo le leggi dell’ospitalità.
Nei casi più ostici, quali possono essere i comportamenti delittuosi, è ovvio che il “buonismo” non basta e sono necessarie misure adeguate di prevenzione e di repressione. Secondo la legge penale.
Soprattutto, quando si tratta di casi accertati di terrorismo, comunque colorato e/o mimetizzato, bisogna reagire con fermezza e unità.
Come avviene, del resto, con tutti i delinquenti italiani o di altre nazionalità.
Insomma, i capi leghisti devono convincersi che la sicurezza, la serenità dei cittadini è una preoccupazione di tutte le forze democratiche italiane e non loro esclusivo appannaggio.
Perciò, la divisione non corre fra chi le difende e chi no, ma tra chi agisce in buona fede e chi sopra ci specula, per un pugno di voti.

L’illustre precedente della grande moschea di Roma
Il divieto d’erigere minareti in Svizzera che si vorrebbe importare in Italia, mi ha riportato alla mente un precedente illustre: la costruzione, negli anni ’80 e 90, della moschea di Roma ovvero la più grande d’Europa sorta nella Città eterna, a poca distanza dal Vaticano cuore pulsante della cristianità.
Qualcosa di più vistoso, impegnativo dei tanti magazzini adattati a luoghi di culto. Eppure, non si registrarono posizioni d’intolleranza, di rigetto sia negli ambienti religiosi sia tra le forze politiche e culturali. Certo, ci furono discussioni e polemiche insorte, soprattutto, intorno al problema- anche allora- del minareto. Nel senso che il progetto dell’architetto Paolo Portoghesi prevedeva la costruzione di un minareto più alto della cupola di S. Pietro.
Alla fine prevalse il buon senso e il progetto fu modificato nel senso richiesto e il cupolone continuò a primeggiare sopra i cieli di Roma.
Da notare, che il terreno (30.000 mq ai piedi di Monte Parioli) fu donato dal Comune di Roma al Centro islamico d’Italia ossia l’ente morale incaricato di curare i lavori di costruzione.
Ci vollero tempo ed enormi finanziamenti (sauditi) e un incessante lavorio politico e diplomatico, sovente dietro le quinte, prima di giungere all’inaugurazione, nel 1995.
Oggi, la moschea di Roma convive in pace col quartiere e con la città come luogo di culto per i tanti mussulmani presenti nella capitale e come simbolo di dialogo e di reciproca comprensione fra religioni ed anche fra popoli e Stati.


Dal dialogo nasce la prosperità condivisa, dalla guerra solo morte e povertà
Un fatto, oggi, impensabile in Italia. Altri tempi, si dirà. In realtà, sono trascorsi soltanto una ventina d’anni durante i quali sono cambiati (in peggio) l’approccio, la concezione e la sostanza delle relazioni internazionali dell’Italia, dell’Europa e anche del mondo arabo,
Si è passati, infatti, dal dialogo alla sfiducia, alla provocazione, al conflitto.
Altri tempi. Certo. Allora, era possibile realizzare moschee al centro di Roma, di Parigi, di Oslo, di Berlino, senza scandalo anzi nella più generale concordia.
Erano quelli i tempi di un’Italia solidale e popolare che aveva una politica estera, ampiamente condivisa in Parlamento, aperta al dialogo e alla cooperazione economica, in primo luogo con i Paesi dello scacchiere arabo e mediterraneo.
Una politica di pace che generava nuove occasioni d’incontro, nuovi mercati e commesse importanti per le imprese italiane.
Le buone relazioni politiche e culturali italo - arabe erano la chiave di volta per accrescere il volume degli scambi economici e commerciali.
Insomma, lo sforzo per una convivenza pacifica assicurava all’Italia un ruolo primario nell’area arabo-mediterranea, anche in campo economico.
Oggi, invece, la nostra politica estera verso questo scacchiere si è, di fatto, militarizzata e i risultati sono doppiamente in perdita. Alle ingenti spese per finanziare missioni militari in zone di guerra bisogna, infatti, aggiungere la crescita del deficit commerciale. Oltre, naturalmente, i nuovi rischi, in termini di sicurezza, cui si espone il Paese.

Quando l’Italia aveva una politica estera
Basterebbe fare qualche conto e alcuni confronti fra le bilance commerciali di allora e di oggi per capire le cause dell’attuale svantaggio italiano e scoprire la differenza che corre fra il dialogo e la chiusura razzistica. O se si preferisce fra la cooperazione pacifica e lo scontro di civiltà.
La tanto biasimata “prima Repubblica” era riuscita, in quegli anni, a produrre una politica estera equilibrata, lungimirante e unitaria di cui va dato merito ai tre grandi partiti popolari (Dc, Pci e Psi) e ai loro più prestigiosi dirigenti: Aldo Moro, Giulio Andreotti, Enrico Berlinguer, Giancarlo Pajetta, Bettino Craxi, Riccardo Lombardi, ecc.
Seguendo la linea della giustizia e del diritto internazionale dei popoli, abbiamo contribuito a rafforzare la pace nello scacchiere, tutelato il nostro Paese da rischi micidiali e, al contempo, creato importanti occasioni di scambio, reciprocamente vantaggiosi. In questo nuovo contesto, si era delineata, perfino, una prospettiva seria per il nostro Mezzogiorno oggi ricacciato ai margini dello sviluppo, assillato dalla criminalità e ridotto a mero deposito di risorse energetiche al servizio del centro-nord ipersviluppato.
Insomma, ieri l’Italia, col concorso di tutte le forze di progresso, dei lavoratori e degli imprenditori, riuscì a raggiungere primati davvero eccezionali, fino al punto di figurare fra le prime otto potenze industriali del pianeta.
Oggi, il populismo e il “patriottismo” di bottega, per altro molto costoso, stanno vanificando gran parte di quei risultati e avviato il Paese su una china molto preoccupante sia sul terreno politico e democratico sia su quello della coesione sociale e della prospettiva economica.

Il Nobel per la pace che prosegue la guerra
I fatti parlano da soli e chiaramente. Mentre in Italia si chiudono scuole, ospedali, centri di ricerca si continua a finanziare costose missioni militari all’estero, soprattutto in Medio oriente.
E segnatamente in Afghanistan dove, storicamente, nessun esercito d’occupazione ha mai vinto una guerra. Ci addolora la decisione del presidente Usa, Barak Obama, la cui elezione avevamo salutato con speranza e simpatia, d’inviare altri 34.000 soldati, più altre 6-7 mila dei paesi alleati, fra cui mille nuovi effettivi italiani che Berlusconi si è affrettato a promettere d’inviare.
Da notare che col nuovo incremento il contingente italiano in Afghanistan salirà dal sesto al quarto posto per consistenza numerica.
Dopo otto anni di combattimenti inconcludenti, Obama giustifica l’invio “per finire il lavoro” e presto rientrare. Ma quando? In realtà, l’invio è certo, mentre il rientro è solo una promessa aleatoria che nessuno può dire se, e quando, si potrà realizzare. Intanto la guerra avrà altre nuove micidiali impennate.
In questa vicenda anche il linguaggio meraviglia anche se usato da Obama per esigenze di propaganda. Comunque sia, mi sembra aberrante chiamare “lavoro” una guerra così terribile e spietata che miete decine di migliaia di vittime militari e, soprattutto, civili.
Così come strana e sconcertante appare la sua decisione di proseguire la guerra assunta alla vigilia del suo viaggio a Oslo dove andrà (10 dicembre p.v.) a ritirare il premio Nobel per la pace. Boh!

L’import italiano d’idrocarburi: un’eccessiva dipendenza da Russia e Libia.
Ma non divaghiamo, torniamo all’Italia, alla sua politica estera militarista e mercantilista che- come già detto- produce una doppia fregatura: gli alti costi delle missioni e un saldo sfavorevole dell’interscambio globale con i paesi del Medio oriente e dell’area mediterranea.
Particolare preoccupazione dovrebbero destare i dati concernenti l’import d’idrocarburi sempre più elevato (in valore) e concentrato in pochi paesi esportatori con alla testa la Russia di Putin (col 21,8%) seguita dalla Libia di Gheddafi (col 21,2%).
Insieme i due Paesi coprono il 43% dell’import italiano (dati 1° semestre 2009) e, forse, meglio spiegano il senso dell’attuale politica estera italiana.
Insomma, mentre prima la costante di ogni politica estera economica era la diversificazione degli approvvigionamenti, negli ultimi anni la lista dei fornitori si sta restringendo e modificando a favore di alcuni Paesi non propriamente affidabili sotto diversi profili.
Di questo passo, l’Italia rischia una dipendenza eccessiva da governi che, in caso di crisi, potrebbero esercitare pesanti condizionamenti sull’economia del nostro paese.
Quando si dice la sovranità!
Se, invece che di leggi ad personam, di prostitute, di trans e ruffiani, partiti e parlamento, e anche i media, si occupassero di questi problemi e d’altri consimili certamente avremo una rappresentazione più veritiera e pulsante della realtà drammatica che l’Italia sta vivendo.

Conflitto fra religioni: un’indegna mistificazione
La moschea, i minareti, i crocefissi, le nuove crociate leghiste…tutto è buono per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica, sempre più frastornata e impaurita, dai suoi problemi di vita e di lavoro a quelli presunti o comunque ingigantiti provocati, qua e là, dagli immigrati la cui colpa, forse, è quella di assicurare un importante contributo alla barcollante tenuta della nostra economia. In primo luogo di quella dei “territori leghisti”.
Il vero rischio che oggi corre l’Italia, specie in alcune aree, non è certo dovuto alla presenza degli immigrati, che certo va regolamentata, controllata e anche aiutata, ma, di più, a queste indecorose risse mediatiche, alle odiose campagne xenofobe scatenate, periodicamente, da certi politici che, per risultare credibili e utili, devono mostrare in tv la bava delle loro rabbiose provocazioni.
Alieni, gente estranea alla tradizione politica e culturale repubblicana che vorrebbero far passare un’immagine falsata, irriconoscibile dell’Italia: lacerata e impotente, e soprattutto egoista e timorosa del progresso. Anche se il momento è opaco, ciascuno di noi, nell’intimo, sa che l’Italia repubblicana non è stata, non è, come la si vuole, artatamente, rappresentare o costruire.
La gente è stanca di questa manfrina e desidera un cambiamento capace di recuperare e valorizzare tutte le risorse e le grandi potenzialità esistenti. Per riallinearsi all’Europa e per ridare speranze agli italiani e, in primo luogo, ai giovani i quali, però, dovrebbero darsi una mossa per non restare soggetti passivi di certa politica e conquistare un ruolo da protagonisti nell’opera immane di costruzione di un nuovo futuro. Del loro futuro.

Cristo non ha bisogno di nuovi crociati
Infine, qualche considerazione sull’ipocrita campagna sanfedista a difesa del “crocefisso” cavalcata da taluni politici e sindaci e presidenti provincia che vorrebbero imporlo nelle scuole e in tutti gli uffici pubblici, anche mediante la minaccia di multe salate e provvedimenti coercitivi.
Credo che la gente avrà capito il vero intento di cotanta, interessata premura. Tuttavia, è sempre utile richiamarne l’attenzione per non cadere nella manovra portata avanti da partiti e individui che hanno ben poco da spartire con quel Cristo che si pretende di difendere da chissà quali attacchi. Anche il clero cattolico, pur difendendo legittimamente i suoi valori e simboli, ritengo abbia ben compreso il fine di questa rumorosa “improvvisata” e non farà trascinare la Chiesa nell’anacronistica diatriba.
Anzi, prima o poi, potrebbe richiamare i troppo zelanti politici e amministratori a curarsi degli affari di loro pertinenza. Magari con più efficienza e onestà. Sarebbe, infatti, molto imbarazzante che il crocefisso fosse difeso da gente che lo calpesta ogni giorno, trasgredendo gli insegnamenti del Cristo dei vangeli per ubbidire agli istinti del potere. La figura del Cristo è universalmente accettata e comunque rispettata, anche da noi non credenti. Non c’è, davvero, bisogno d’imporla d’autorità, a colpi di multe. Specie in un Paese dove vige una Costituzione laica e tollerante.

Se un non-credente s’impegna per far costruire un luogo di culto
Chiudo con un aneddoto, con fatto capitatomi a margine della vicenda della moschea di Roma alla cui realizzazione contribuì, soprattutto sul piano dell’iniziativa politica e parlamentare, la nostra Associazione italo - araba, composta dai rappresentanti dei tre principali partiti (Dc, Pci, Psi) e più volta presieduta dall’ex ministro dc Virginio Rognoni.
In questa come in altre importanti vicende, l’associazione svolse una funzione politico/diplomatica parallela a quella del governo e dei partiti che rappresentava.
Un giorno fui invitato per un colloquio dal principe Abdelghassem Amini, un aristocratico afghano, persona di fiducia dei sauditi e, in quanto tale, presidente del Centro culturale islamico d’Italia curatore del progetto della moschea.
Solitamente lo incontravo in delegazione o in qualche convegno. Quella volta m’invitò da solo.
Lo andai a trovare al Centro e dopo il caffè e un po’ di convenevoli, mi rivolse alcune domande a bruciapelo. “Lei è un deputato del Pci? ”- “Certamente”, risposi. “Perciò è un marxista?” – “Sicuro” “Voglio dire ateo?” “Si, sono ateo”.
Domande pleonastiche le sue (sapevo chi ero) che gli servivano a porre quella più impegnativa: “Allora –mi spieghi- perché un ateo, com’è lei si dichiara, si è tanto adoperato per consentire la realizzazione della moschea? “
Il principe non si capacitava di tanta (mia) incoerenza o forse immaginava i comunisti come orde di barbari dediti alla distruzione dei luoghi di culto.
Gli risposi che, in quanto comunista e cittadino di questa Repubblica, mi ero semplicemente adoperato per garantire ai lavoratori di religione islamica, come di altre, il diritto ad avere un luogo di raccoglimento e d’incontro. Esattamente come postula la nostra Costituzione per tutte le religioni, purché non s’ingeriscano nella politica e negli affari di Stato.
Il principe mi volle insignire di una medaglia e mi regalò un bellissimo esemplare del Corano che vergò con una dedica riconoscente: “All’on. Agostino Spataro…per tutto l’aiuto che ha dato all’Islam”. Insomma, c’eravamo capiti.

5 dicembre 2009

* Agostino Spataro è stato membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati. E’ direttore di “Informazioni dal Mediterraneo” (www.infomedi.it)








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