martedì 26 gennaio 2010

Il potente ed i ragazzi..Sette anni di vita parallela tra Totò Cuffaro e i ragazzi di Ad ESt
















Il potente ed i ragazzi

La lotta civile di un gruppo di giovani della Sicilia dell'est

di Gaetano Alessi x LiberaInformazione

Raffadali (Ag)
Questa è una storia. Una storia di vite che si sfiorano ma restano parallele, la storia di un uomo potente e di un gruppo di ragazzi. Il potente nasce nel 1958 e si forma dai salesiani. Cresce politicamente nella democrazia cristiana in un paese, Raffadali, sotto il dominio delle bandiere rosse. Diventa consigliere comunale, poi con un salto di qualità va a Palermo. Entra nel cuore del rais democristiano Calogero Mannino.

Agli inizi degli anni ’90, al microfono di Michele Santoro, insulta Giovanni Falcone pochi mesi prima che la mafia lo faccia saltare in aria. Diventa, grazie ai voti di Mannino, consigliere regionale e la Regione Sicilia per lungo tempo resterà il suo regno. I ragazzi hanno tutti molti anni in meno del potente. Sono nati tra gli anni ‘70 e ’80. Cresciuti tra le rovine di ideali andati in fumo e sogni mai fatti. Tra i muri caduti troppo in fretta e le mille sigle nate dallo scioglimento del Pci. Vivono di slogan, ma sanno che sono parole già vecchie.

Il potente resta a Palermo. Unico sopravvissuto del terremoto che ha distrutto la corrente di Mannino, ne eredita parte del potere, che gestisce con calma e sapienza dal suo posto di comando all'assessorato Agricoltura e foreste. Come uomo di potere sa annusare il potere, resta in piedi anche quando cambiano le bandiere, anche nei 18 mesi di centro sinistra e governo diessino. Lì il potente scardina le ultime difese del centro sinistra.

Ospita nelle sue stanze tutti coloro che chiedono qualcosa, privilegiando i “compagni”, ne ruba l’anima e presto gliene chiederà conto. I ragazzi vivono quegli anni con dolore. Divisi, sfilacciati. Nei loro discorsi da ventenni non capiscono ancora come i ruoli della politica possano cambiare e trasformarsi, come in pochi mesi il nemico possa diventare amico e addirittura “punto di riferimento”. Primo maggio del ’99. Il potente sale sul palco della sinistra siciliana, accompagna Angelo Capodicasa (Ds), presidente della Regione. Solo in due scendono dal palco, increduli. Il giovane segretario di Rifondazione e il vecchio sindaco partigiano Salvatore Di Benedetto. Tutti gli altri restano. Il potente tenta la strada dell'europarlamento, fallisce e torna alla corte di Berlusconi, ma il bottino è grande: il potente ha in mano la sorte del paese.

Il potente, gradito a tutti e soprattutto ai Boss (intercettazioni telefoniche confermano) viene eletto presidente della regione nel 2001. Una barca di voti contro la resistenza di Leoluca Orlando. Il potente lancia la sua Opa sulla sanità siciliana. Piazza suoi uomini dappertutto, compra le persone come le figurine panini. Si circonda di ex comunisti. Fa tabula rasa di ogni resistenza pagando, e pagando bene. Si passa anche uno sfizio, conquistare Raffadali dopo sessanta anni di amministrazioni rosse. Promette e si spende, il resto è attrazione per il potere, che i siciliani conoscono bene. Vince. Conta tra le sua fila consiglieri e assessori che fino a pochi mesi prima cantavano “bella ciao” al corteo del primo maggio.

I ragazzi nel frattempo sono cresciuti. Induriti da due campagne elettorali, dure come il marmo. Sono i primi a reagire. Nel 2003 lanciano una sfida: sotto la spinta della partigiana Vittoria Giunti, fondano un giornale. Lo chiamano come una canzone dei Nomadi, “Ad Est”, prendendone il sottotitolo come manifesto programmatico “Perché non è finita”. Pagina dopo pagina costruiscono una casa comune, un rifugio per sbandati senza bandiera, la rendono una scuola di libero pensiero e dopo i primi numeri diventano “pericolosi” per il potere. Il potente intanto vive la sua stagione più bella. Con una opposizione debolissima e spesso collusa, continua la sua opera di “privatizzazione” della Sicilia e mentre le attività della famiglia fioriscono in ogni settore, lui fiuta il nuovo business. Dopo la Sanità (già ampiamente lottizzata assieme all’amico Lombardo) ecco i rifiuti.

Altri appalti miliardari, altri consigli d’amministrazione da riempire in tacito accordo, accontentando tutti. Si triplicano le Ato, e con esse i baci e gli abbracci.
Per i ragazzi sono gli anni più duri. Soffocati da omertà, paura e silenzio, vengono isolati, minacciati. Prima con le buone, poi con i bossoli e le lettere minatorie. Raffadali si rinnova, a immagine del suo potente diventa un aura di mafiosità. I ragazzi resistono. Uno stipendio da collaboratore parlamentare garantisce le spese di stampa. La solitudine, più che la paura rischia di far chiudere tutto nel 2005.

Ma cambia qualcosa, il potente paga pegno per alcune sue frequentazioni. Arriva un rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sulle talpe in procura. I ragazzi decidono di chiudere tutto ospitando una “carovana antimafia”. Il Sindaco di Raffadali si oppone: “E’ come parlare di corda a casa dell’impiccato”. Un giovane maresciallo dei carabinieri s’impunta.
Dopo l’ennesima telefonata al comando dei vigili urbani guarda i ragazzi e dice “disobbediamo!”. L’amministrazione cede, convinta che la minaccia di disobbedienza civile non è campata in aria e soprattutto che nessuno scenderà in piazza accanto i ragazzi.

Giorno di dicembre. Freddo.. Un corteo parte da una chiesa in periferia. C'è un uomo con i ragazzi sulle “barricate”, è Luigi Ciotti. Con lui tantissima gente nel lungo cordone aperto da uno striscione che recita “Raffadali Antimafia”. I ragazzi, increduli, felici, di nuovo vivi, respirano una ventata di aria fresca. La macchina del potente sembra incepparsi. Il Piano sui rifiuti trova l'opposizione dei cittadini. Si ribella Aragona, dove un anziano professore di scuola elementare occupa il comune. Un paese caro al potente, quello della moglie, gli si rivolta contro.

La magistratura intanto continua a scavare. Emergono intercettazioni, frequentazioni. Uno dopo l’altro vengono arrestati uomini vicini al potente: Vincenzo Lo Giudice, Miceli, Borzachelli. Lui resiste. Ma è alla corda. I ragazzi giocano la loro partita. Continuano a denunciare su Ad Est, mettono in luce speculazioni degli uomini vicino al potente e intuiscono le potenzialità di Rita Borsellino, più volte loro ospite ai tempi dell’Arci. Uno dei primi comitati per Rita Borsellino presidente nasce nella Raffadali del potente.

Le primarie sono un successo. Un offesa nell’offesa e gli uomini del potente, primo fra tutti il fratello assessore, reagiscono come bestie ferite. Punendo tutti, compresi gli impiegati comunali. I ragazzi ci credono. Si spendono e spendono tutto quello che hanno. Il potente, su altri livelli, fa altrettanto, stringe accordi più stretti con chiunque. Fa assumere un numero impressionante di persone nella Sanità. Rende il 118 un ufficio collocamento. Chiama a sé un numero abnorme di addetti stampa per assicurarsi i servigi di ogni mezzo di comunicazione.

La criminalità organizzata si muove compatta per assicuragli un secondo mandato (volantini elettorali del potente vengono ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano) terrorizzata dall’eventualità di un “Borsellino” alla guida della Sicilia. Vince, ma è come se perdesse. I debiti accumulati sono troppi per essere saldati. I ragazzi pagano l’entusiasmo per la Borsellino. Sono pieni di debiti e nuovamente soli. Li copre un giovane avvocato scontroso ma solo all'apparenza: Aldo Virone. Ma in molti sono costretti ad emigrare, “bruciati” dalla loro scelta di libertà.

Comincia un periodo difficilissimo. L’Ordine dei giornalisti li ignora, dato che ufficialmente giornalisti non sono, le notizie non riescono ad uscire dal recinto creato dalla rete mediatica del potente. Isolati, ma non sconfitti perdono la loro guida spirituale. Vittoria Giunti muore il 3 giugno del 2006 poche ore dopo la festa di quella Repubblica che aveva contribuito a fondare e ricominciano le lettere minatorie. Il Potente intanto è incalzato dalla magistratura. Le sue collusioni sono sempre più evidenti. Un pentito di mafia, Tommaso Campanella da Villabate (Pa), lo tira dentro a storie di mafia e di appalti. Le accuse sono circostanziate ma non bastano a convincere i magistrati ad emettere il mandato di cattura.

E’ però un calvario. La stampa nazionale e internazionale mette in evidenza la fragilità del potente. Nonostante tutto resiste. Forte delle complicità che si è creato negli anni. I ragazzi lottano, resistono e aspettano che la magistratura faccia giustizia. E’ il 19 gennaio del 2008. La sentenza arriva circa quindici minuti prima delle 18: il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, è condannato a 5 anni nel processo per le 'talpe' alla Dda di Palermo per favoreggiamento semplice e rivelazione di segreto d'ufficio.

E’ finita.

Cuffaro, di colpo non più potente, resiste pochi giorni. Un vassoio di cannoli offerto per “festeggiare” la condanna a solo cinque anni, anticipa una decisione ineluttabile, le dimissioni da Presidente della Regione.
Il suo bagaglio di voti e la complicità di Casini, gli offrono l’immunità di un seggio da senatore. Ma dove non si è spinto un centro sinistra arido, è riuscito il vecchio “amico” Lombardo. Privare di tutto il potere Cuffaro. Pescando a piene mani nelle voragini della Sanità, sostituendo scientificamente ogni uomo dell’ex alleato con i suoi. Comprando tutti e tutto. I ragazzi “resuscitano”, per l’ennesima volta. Pescano nelle tasche e nel cuore gli ultimi spiccioli di soldi di carta e di rabbia. Trovano nel web un alleato inesauribile, in Articolo21 e Giorno Santelli nuova spinta. Come un araba fenice rialzano la voce e in tanti li seguono.

Un Cuffaro sempre più solo, abbandonato accoglie il 23 gennaio del 2010 la sentenza d’appello del processo “Talpe”: condannato a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato dall'avere agevolato la mafia e rivelazione di segreto istruttorio. Un macigno. Mentre l’ultimo sembra alle porte: il prossimo 5 febbraio un’udienza preliminare potrebbe portarlo ad un nuovo processo. L’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa, inchiesta parallela al processo «Talpe» condotta dal pm Nino Di Matteo.

Totò Cuffaro vede nella sua casa di Raffadali calare la tela dello spettacolo della sua vita mentre gli ultimi uomini rimasti con lui stanno già cercando un nuovo padrone.
Il potente e i ragazzi.Sette anni in parallelo.
Sette anni nell’ascesa e nella caduta di un uomo che ha scelto il potere a qualunque prezzo. S
ette anni di resistenza di ragazzi che hanno scelto la dignità a qualunque prezzo.
Il potente non è più potente ed è rimasto solo. I ragazzi non sono più ragazzi ma non sono e non saranno mai più soli.

* AdEst

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1 commento:

Fiore di campo ha detto...

Caro Gaetano, cari ragazzi di "Ad Est",
ho scritto il commento alla vostra bellissima storia di Resistenza civile nel penultimo post, dopo aver letto i contenuti di questo interssante articolo attraverso Fb e LiberaInformazione. Rinnovo i miei più sinceri auguri per la vostra lotta che è già un esempio per tutti noi e per chi non si vuole girare la faccia dall'altra parte nella nostra terra "bellissima e disgraziata"! Spero ci sia occasione per lavorare insieme!
Hasta Luego,
Gianluca