venerdì 8 aprile 2011

Il mio regno, il mio regno per una predella!!!!!


Totò Presti per AdEst*

Odio i diminuitivi. Mi sanno di riduzione e non sopporto chi minimizza la grandezza. Se li uso è sempre in funzione ironica o malinconica, che è lo stesso. Il diminuitivo è una iattura, come le virgolette: lo si abusa per l’attimino, lo si applica con nonchalance alla giuiuzza di mamma, al riccardino di turno, al tesoruccio. Un debito non pagato è un debituccio per il contraente, e i soldini sono tonanti per chi li riceve ma non per chi li dà. In soldoni chi paga, paga, precisamente. Chi riceve, riceve. Gli si aprono mondi. Dei soldi si sente il profumo, infatti, dell’arrosto il profumino. C’è un che di voyeristico nel diminuitivo, come se il linguaggio condensasse la sua ampiezza in un punto: in una specie di excusatio non petita riduci i tuoi torti se puoi trattarli alla stregua di fatterelli. Se gridi le tue ragioni dici “un momento!” (così proprio, col punto esclamativo al posto giusto) non dici “un momentino...” (coi puntini, ovviamente). Un momentino sa di scusa, di entrata in punta di piedi che si salva solo se beffarda.
Se uno spuntino è uno spuntino e non potrebbe essere uno spunto (ti rimarrebbe la fame) il predellino è il diminuitivo subdolo della predella. Già è capzioso, per quel suo costringersi al maschile, e non è uno sgabello, non ti ci puoi sedere. Ci puoi salire su, come no? Specie se sei piccolino e non vuoi cadere. Certo, un ometto un po’ anzianotto che improvvisa un comizietto davanti a un popolino di ragazzotti e vecchietti potrebbe tutt’al più costruire un partitino, fondandolo in modo estemporaneo su una ideuzza di libertà. Ma le parole dello stesso ometto del comizietto ripreso da televisioni amiche e giornali sudditi e compiacenti hanno in questa nazione, in questo preciso momento storico una valenza enorme e conseguenze devastanti.
Il diminuitivo non mi funziona più, allora, non è più sarcastico, e torno ad odiarlo perché mi inganna – non mi restituisce le conseguenze, mi porta fuori strada e mi impedisce il giudizio o quantomeno me lo vizia. Quindi mi correggo. non di ometto si è mai trattato ma di un Grande Presidente. Non anzianotto è il Tizio, arzillo (tutt’al più), giovanile (senza meno); il partitino è un partitone (più o meno), l’ideuzza (nientemeno) ideologia.
Il Grande, circondato da signorine, pardon, signore, arringa la folla, i vegliardi, i giovani, il popolo grasso e grosso e fonda un partito. Il Grande Partito della Libertà. e dell’Amore.
Garibaldi nel suo monumento, trionfale ancor più delle sue imprese, se ne sta sul cavallo in varie piazze d’italia. si badi bene, sul cavallo, non sul cavallino. Garibaldi sul cavallino avrebbe logicamente (è la forza della ragione, questa!) conquistato l’Italietta, avrebbe invaso il quartierino, se la sarebbe vista coi furbetti, il suo luogotenente sarebbe stato Ninetto Davoli, mica Nino Bixio.
In questa Italia dell’epica nana, attendiamo con impazienza e per ovvie sacrosante ragioni e perché la storia gli renda giustizia, il prossimo monumento a un Grande Presidente.
Sul predellino, al momento.

*Già Sindaco di Santo Stefano di Quisquina

Nessun commento: