di Michelangelo La Rocca
All’indomani dell’8 marzo, da Roma, dalla mitica Piazza S. Giovanni, è arrivata una buona notizia per la malconcia democrazia italiana.In quella piazza, spesso crocevia della lotta dei lavoratori, è riuscita, ben riuscita, una grande manifestazione della Fiom e si è finalmente rivisto lo sventolio di tante, tantissime bandiere rosse. Questa bella notizia deve rallegrare tutti quelli che hanno a cuore le sorti della nostra democrazia, di quella democrazia che, non per caso e non a caso, la nostra bella Carta Costituzionale ha voluto fosse fondata sul lavoro. Bello lo slogan “ Democrazia al lavoro”, la democrazia, infatti, ha sempre tanto lavoro da fare perchè non è mai un punto di arrivo, è sempre un percorso dinamico, un cammino accidentato con passi avanti ed a volte, tante volte, qualche passo indietro. In questo momento politico, che definire kafkiano è poco, la democrazia italiana non gode di ottima salute, anzi! Ed ancora più malata è ed appare la democrazia sindacale, dato che l’art. 18 dello statuto dei lavoratori, nel mirino da anni, lo è ancora di più in un momento di grave crisi economica caratterizzato da tassi di disoccupazione allarmanti. Chi auspica la sua modifica o addirittura la sua abrogazione, lo fa in nome di una motivazione incomprensibile poiché vuole far credere che la libertà di licenziamento farà crescere l’occupazione! Questa teoria economica, quanto a validità ed efficacia, mi ricorda quella della “buca di Keynes”. Ricordate? L’economista John Maynard Keynes diceva che, in periodo di crisi, lo Stato dovrebbe pagare i lavoratori disoccupati per scavare una gigantesca buca e poi riempirla. In questo modo i lavoratori avrebbero un salario e potrebbero spendere, attorno alla buca si creerebbero negozi ed osterie ed infine l’economia potrebbe risollevarsi. Che l’economia non sia una scienza esatta lo abbiamo imparato da tempo ed in particolare in questi ultimi mesi in cui abbiamo assistito ad un sistema economico internazionale in totale balia dei fantomatici mercati, dell’andare su e giù del famigerato spread ed dell’imperversare dei giudizi delle società di rating mosse da chissà quali misteriosi disegni strategici. Che certe teorie economiche, come le due prima citate, non abbiano nessun valore scientifico lo si intuisce con istintiva immediatezza. Allora risulta chiaro che la battaglia sull’art.18 deve essere combattuta in difesa della dignità del lavoro, della democrazia e, persino, della moderna civiltà. La libertà di licenziare anche senza giusta causa mortificherebbe la dignità del lavoratore, tanto più in un periodo ed in un Paese che da tempo, da troppo tempo, sembra avere smarrito i valori etici ed abbandonato la strada maestra di una sana e forte democrazia. Bene ha fatto, dunque, la Fiom, guidata dall’ottimo Landini, a proclamare lo sciopero del 9 marzo come, a suo tempo, bene aveva fatto Sergio Cofferati a portare 3 milioni di lavoratori in piazza in difesa dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, organizzando una manifestazione passata alla storia del sindacato italiano e delle lotte dei lavoratori per l’imponente partecipazione che ne risultò. Oggi, rispetto ai tempi di Sergio Cofferati, i segnali sono più gravi e preoccupanti. Il lavoro precario rischia di passare alla storia come la vergogna, e che vergogna, del terzo millennio. La più grande fabbrica italiana ha portato un gravissimo attacco alla libertà sindacale mettendo, di fatto, nei propri stabilimenti alla porta una componente così significativa ed importante della classe operaia italiana come quella rappresentata dalla Fiom. C’è da aggiungere che dallo stesso gruppo industriale è partito un grande siluro contro la libertà d’informazione, con il rozzo “sbullonamento” negli stabilimenti delle bacheche di un quotidiano con la storia e il prestigio de “L’Unità”, fondato nientemeno che da Antonio Gramsci. Il segnale più inquietante è costituito dalla cancellazione, di fatto, del Contratto nazionale avvenuta lo scorso 13 dicembre, quando la Fiat ed alcune sigle sindacali hanno sottoscritto l’intesa per il contratto del gruppo Fiat che recepisce gli accordi di Pomigliano. Un contratto questo che peggiora le condizioni di lavoro, limita le libertà sindacali per i lavoratori del gruppo e rappresenta un attacco ai diritti, alle libertà e alla democrazia. Ed allora verrebbe voglia di ringraziare uno per uno gli eroici operai della Fiom che in un contesto cosi cupo e denso di preoccupazioni hanno saputo organizzare una manifestazione così affollata e partecipata mettendo al centro della propria lotta il lavoro e la sua dignità, la democrazia ed i suoi inquietanti, attuali malesseri. Tocca ora alle forze politiche democratiche, ed in particolare a quelle della sinistra riformista, saper dare il giusto peso ed il congruo valore a tale manifestazione, ben sapendo che il rilancio dei partiti democratici non può che partire dal lavoro e dalla difesa della dignità dei lavoratori come esige la nostra Carta Costituzionale che da tempo, troppo tempo, reclama di essere attuata: questo è il momento di farlo: ora o mai più!
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