mercoledì 1 maggio 2013

In memoria del Partigiano Salvatore Di Benedetto - 7 anni dopo..


Ripubblichiamo, per la prima volta, un articolo di Salvatore Di Benedetto apparso su “La Voce della Sicilia” del 29 Marzo 1946, in occasione del suo ritorno a Raffadali, dopo l’esilio, la Resistenza, la Liberazione.


                            A RAFFADALI IL POPOLO HA VINTO
                                         Salvatore Di Benedetto.      


E’ un Paese di contadini poveri, di braccianti, di artigiani circondato dalle colline del Cattà ,di S. Giorgio, del Mizzaro, dalle plaghe dei feudi. Ma il paese non ha baroni. Questi vivono lontano e i contadini, a migliaia, lavorano per essi. Vita magra, amara, in mezzo al vento e al sole. I contadini si sputano le mani, guardano la terra nera nella distesa brulla, al di là della cinta beneficata dei mandorli e dicono a denti stretti rivolti a qualcuno che non si vede: “Finirà, dovrà pur finire questa vita”. Che la vita, che questa vita finisca è un sogno che sta nel cuore di tutti gli sfruttati del paese.  Non è un sospiro di rinunzia. A Raffadali è un grido di guerra, una parla d’ordine di lotta. Questa esistenza di schiavitù, di miseria, di sfruttamento deve finire!
I contadini poveri, i braccianti, le donne sono carichi di miseria, ma i loro occhi non sono carichi di umiltà. Essi sono uomini e sanno di esserlo. Sanno profondamente di esserlo. Lo sanno da anni, da lunghi, duri anni. E l’umiltà, la sottomissione non sono mai entrate nel loro cuore. Essi hanno vissuto aspettando, e resistere vuol dire lottare. Hanno lottato. E’ venuta la miseria, è venuta la guerra, è venuta la rovina, il tradimento, è venuta la morte. Hanno resistito, hanno lottato. Venivano gli sbirri del fascismo e facevano le loro sapienti retate. Veniva il proconsole Mori e con la scusa di liquidare la mafia, colpiva il cuore di ogni famiglia di contadino, di lavoratore, portava centinaia di ostaggi a marcire nelle carceri, portava centinaia di famiglie nella miseria, nella rovina. E il paese non si piegava.
Veniva la polizia, entrava di notte nelle case, portava via i difensori del popolo, gli operai, i contadini che si organizzavano e si preparavano alla lotta contro il tradimento e la rovina.
E il paese non si piegava.
Veniva la guerra, partivano a forza i giovani, sparivano in terre lontane nel silenzio e nella morte.
Piangevano le madri.
Il paese non si piegava.
Nelle botteghe degli artigiani, sui campi, i contadini allineati lungo i solchi dicevano, nel silenzio delle lunghe giornate, fra loro, a voce bassa: “Hanno arrestato il tale. E’ dei nostri. E’ col popolo. Lo hanno portato lontano. E’ in Africa e spacca le pietre sulle strade dell’Asmara. E’ all’isola di Ventotene. E’ nel carcere di Poggio Reale. E’ scappato via. Non si sa più nulla. Lo ricercano. E’ scappato di notte”. E infilzavano l’ago nelle stoffe, i giovani sarti. E brandivano le mazze sui ferri arroventati, i giovani fabbri e sputavano nelle mani nere i contadini e impugnavano le falci e brandivano le zappe sotto il sole alto.
Misteriosamente circolavano fogli stampai chi sa dove, chi sa come, distribuiti non si sa da chi. Portavano la voce del popolo, erano la voce del popolo. I contadini li voltavano, Li rivoltavano, ripetevano le parole ad una ad una, crollavano la testa e guardavano lontano respirando il vento. Questa vita dovrà pure finire.
Ed è venuta la riscossa del popolo.
Raffadali, paese di sfruttati, ma di lavoratori che sanno di essere uomini.
Esso ha dato decine di vittime alla brutalità ed alla prepotenza del fascismo, ha tenuto sempre alta la dignità del popolo e la bandiera della libertà, issata sul suo campanile, ha sventolato finché il vento non l’ha portato via nei cieli di marzo, quando da anni la schiavitù dominava già sulle terre d’Italia.
Ma le bandiere del popolo sono ritornate.
Corteo di fanciulli scalzi e vestiti di stracci, tutti occhi, corrono attorno a queste bandiere. Donne con bambini in braccia, con i capelli lisci e scuri e le bocche severe, maschili che conoscono tutta la forza della fame e del sangue, vanno  dietro le bandiere. E uomini, uomini scuri, con giacche, cappotti di soldati di ogni terra, uomini che sanno di essere uomini.
Un pulviscolo di fanciullezza spumeggia avanti, attorno alle bandiere del popolo. Donne che non hanno mai conosciuto altro angolo di terra oltre quello su cui hanno sudato e sanguinato insieme ai loro uomini, cantano l’Internazionale, Il Canto del Partigiano, l’Inno dei lavoratori. Il dolore le ha sbalzato dall’oscurità della miseria e dalla paura alle soglie dell’Umanità. Migliaia di fanciulli, migliaia di donne, migliaia di uomini di un piccolo paese di Sicilia tra le colline di dieci feudi, camminando dietro le loro bandiere. Settimane di passione, piove sui cortei, le strade sono sommerse dal fango, scivola la pioggia attraverso gli stracci, sulle carni. Colpisce sui visi i neonati, ma gli uomini vanno, le donne stringono alti sul petto i loro piccoli e vanno, i fanciulli affondano i loro piedi nudi nella melma e vanno. Avanti popolo!
Un uomo viene alzato quasi di peso dalla folla. Parla! L’Uomo parla. “Dobbiamo sollevarci dalla terra”. La folla cammina. Ancora e ancora, alza in alto l’uomo perché parli. E’ un tumulto di cose che il popolo vuol dire e vuol sentire: “Ricordate, madri, il vostro pianto!”. “Ricordate, uomini, il tradimento, la fame, il pianto delle vostre donne!”. “Dietro questo giorno di libertà, ci sono il sangue e le ossa dei vostri figli”. Il popolo cammina per tutte le strade e le piazze di Raffadali. Oh, Dio, prega una donna, dài salute e forza ai nostri uomini perché sulla terra conquistino la giustizia. E i loro occhi sono incantati e fissi sulla bandiera di sangue, alta nel vento.
Nessuno ha potuto parlare in quei giorni al popolo di Raffadali. Sono venuti uomini di tutti i partiti. Hanno pontificato, alcuni preti contro il partito del popolo dall’alto dei loro pulpiti. Ma il popolo non ha permesso a nessuno di tentare un’ insidia contro la sua coscienza. Il popolo è rimasto padrone delle piazze e delle vie. Gli oratori, avvocati famosi, oratori brillanti, ripartivano senza aver potuto esercitare le loro gole. Il popolo voleva sentire la sua voce, la sua vera voce, quella che non poteva tradire. Issava sopra un balcone, sopra una scala, sopra un gradino i suoi figli e diceva: “Parla”.E i figli del popolo, i combattenti del popolo, gli artefici della libertà, gli ex carcerati. I perseguitati, i mutilati parlavano il linguaggio del popolo, rivestivano di parole di sangue il linguaggio del popolo, la volontà del popolo, davano una guida dritta e sicura al popolo. Questa è la via. Tutti i partiti erano contro il partito del popolo. Tutti contro uno,uno solo. E tutti uniti. E opponevano alla povertà del popolo la ricchezza dei padroni. Ed alla fame, il grano sottratto dai granai. Ed alla semplicità onesta, i raggiri, la prepotenza e l’inganno. Ed al sentimento religioso il fetore della scomunica. Il paese non si è piegato. Il popolo di Raffadali era solo, dietro una sola bandiera, contro tutte le forze del passato. E questo popolo ha vinto. Per la salvezza della nostra terra, occorre che questa sia una vittoria di tutta la Sicilia, di tutto il popolo d’Italia.     
 

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