lunedì 29 settembre 2008

AGRIGENTO DEL PROSSIMO FUTURO

di Antonino Cuffaro

Dai dati ISTAT sull'economia Italiana del 2007 emerge che l'interscambio commerciale dell'Italia con i paesi extraeuropei del mediterraneo, dal Marocco alla Turchia (dove vivono circa 230 milioni di persone), equivale a quello con gli USA ed è pari al triplo di quello con la Cina. Rispetto a 10 anni fa, mentre il commercio con gli Stati Uniti è rimasto costante in valore, quello con i paesi mediterranei è raddoppiato e cresce tuttora al ritmo del 7-8% l'anno. Inoltre, le prospettive di crescita delle relazioni commerciali con la fascia sud del mediterraneo sono destinate ad incrementarsi ulteriormente con l'istituzione, a partire del 2010, dell'area di libero scambio euro-mediterranea, con la creazione dello spazio economico più grande al mondo.
Il mediterraneo, quindi, dopo il declino della seconda metà del '900, ridiventa centrale per lo sviluppo dell'economia italiana.

E questo vale ancor di più per la Sicilia e per Agrigento, terre di confine, che non hanno mai avuto la vocazione a scalare le Alpi e che oggi possono cercare sviluppo e benessere immergendosi sempre più nel mediterraneo.

Già, ma come può inserirsi Agrigento in questo contesto di integrazione tra le due sponde del mediterraneo, che benefici possiamo trarne, che ruolo può svolgere la nostra comunità?

Noi non abbiamo un' industria manifatturiera interessata ad intercettare l'onda di questo commercio crescente, non abbiamo grandi porti che possano smaltire i flussi di passaggio delle merci, non abbiamo infrastrutture che favoriscano grandi insediamenti industriali. Allora, il nostro ruolo va ricercato altrove: Agrigento, per la sua posizione geografica centrale, per il suo passato di crocevia di popoli e culture diverse, per le testimonianze archeologiche che custodisce, può essere una cerniera tra nord e sud del mediterraneo, tra oriente ed occidente. E' sul piano delle politiche d'accoglienza ed integrazione, di scambio culturale, di interposizione pacifica tra i popoli martoriati della sponda sud del mediterraneo che possiamo giocare un ruolo importante, per fare di Agrigento una città aperta ed ospitale (siamo la patria di Gellia, no?), un simbolo forte di quel meticciato etnico e culturale che tanto turba il filosofo Marcello Pera e la destra italiana.



In questo situazione, assume un valore centrale la proposta lanciata con forza in campagna elettorale da Giandomenico Vivacqua: dare vita ad un polo universitario autonomo che possa configurarsi presto come una università del mediterraneo.

L'università del mediterraneo aperta a tutti i popoli, luogo di contaminazione, culla di saperi e di sensibilità culturali e religiose diverse, luogo di studio e di confronto, di elaborazione e di iniziativa, anticorpo potente contro l'intolleranza, il razzismo, la discriminazione, la paura e la violenza. Quest'ultime sempre più presenti, a sud come a nord del mediterraneo.

Un'università integrata nel territorio, che viva dentro la città (e non ai margini fisici e culturali, com'è oggi) con le sue sedi, le biblioteche specialistiche, le emeroteche, le case alloggio per gli studenti, le mense, i centri culturali ed editoriali, insediati nel centro storico; che partecipi da protagonista di primo piano allo studio-conservazione-gestione-valorizzazione dell'enorme patrimonio archeologico che l'umanità ci ha affidato; che abbia parte attiva nel dibattito internazionale sulle tematiche che investono i rapporti nord-sud del mondo.

L'università, la Valle dei templi, il centro storico: è attorno a questi temi, tra di loro strettamente intrecciati, che va costruito il futuro dei prossimi decenni, per fare uscire Agrigento dalla marginalità e creare benessere economico e morale.

Vanno compiute, però, scelte chiare e consequenziali.

1) Una città che voglia presentarsi come una delle capitali culturali del mediterraneo, attrarre studenti, studiosi, intellettuali, ospitare un turismo colto ed esigente, essere attenzionata dall'establishment internazionale, deve cancellare l'immagine negativa di simbolo dell'aggressione al territorio, dell'abusivismo e del degrado edilizio. Lo "sky line" della città è drammaticamente rappresentato dalla cinta dei "Tolli" costruiti negli anni '50 e '60, segno di un passato prossimo indecoroso (urbanisticamente, politicamente, moralmente), che ha spezzato la continuità storica della città, separando l'Akragas classica dalla Kerkent araba. Agrigento non può pensare di mantenere la sua forma attuale, deve ritrovare un nuovo equilibrio urbanistico. Tra le brutture, la cultura non può albergare. Il tema della decostruzione (sostenuto quasi solitariamente da Tano Siracusa da circa 20 anni) si pone, allora, con grande forza. I Tolli vanno abbattuti, la città deve recuperare la sua visione della Valle e del mare.

2) La città è demograficamente ferma: anzi, perde abitanti. Pertanto, non ha più senso continuare a sviluppare l'edilizia privata agevolata e convenzionata verso le nuove periferie. L'intervento pubblico e privato dev'essere indirizzato al recupero, riqualificazione e funzionalizzazione del centro storico. Le risorse sono limitate e vanno finalizzate all'idea di città in cui vogliamo vivere.

3) Ha senso programmare investimenti per oltre 100 milioni di euro per costruire un piccolo, inutile e cronicamente deficitario aeroporto (abbiamo a meno di 2 ore di strada il 5° e 6° aeroporto del paese), mentre queste risorse potrebbero servire per infrastrutturare la nuova università, disseminando il centro storico di sedi e strutture accessorie? Perugia, Siena, Cassino, Camerino sono famose, tra l'altro, per le loro università, non certo per l'aeroporto che non hanno.

4) Costruire un rigassificatore a ridosso del parco archeologico della Valle e del parco pirandelliano è una discrasia rispetto alla vocazione culturale della città. A parte i temi legati alla sicurezza, il rigassificatore non sottintende alcun progetto di sviluppo: è una struttura a scarso impatto occupazionale, un centinaio di addetti, per lo più tecnici proveniente da fuori; lavora una materia prima, il metano, che sarà utilizzato al nord; non crea un indotto industriale. Per converso, ha un sicuro impatto visivo: aldilà della struttura interrata, sarà ben visibile l'ingombro delle gigantesche metaniere alla fonda.



Mi auguro che questi temi, passata la necessaria fase di regolamenti interni conseguenti alla pesante sconfitta elettorale, diventino aggetto di dibattito nel Partito Democratico, per l'elaborazione di un progetto di governo, attorno al quale costruire una classe dirigente visionaria, concreta ed ambiziosa.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Condivido appieno l'analisi e le proposte di Nino, a partire dal rifiuto dell'aeroporticciolo che potrebbe servire al massimo per gli spostamenti di qualche ministro- finchè ce n'è uno-, come accade per l'aeroporto di Albenga e qualche corriere della droga.
Non capisco, però, perchè Nino si aspetta che le sue idee diventino patrimonio del PD. Ha mai sentito una sillaba da questo partito contro l'aeroporto? Perchè dovrebbe cambiare idea proprio adesso?
Nino sa, o dovrebbe sapere, che Rifondazione Comunista è da sempre contraria all'idea dell'aeroporto, fin dai tempi della giunta Vivacqua, non solo per le cose che dice lui, ma anche per la sua antieconomicità, stanti il basso bacino di utenza- 300-400 mila persone,l'arretratezza dell'economia e il basso reddito pro capite(leggi risposta dell 'ENAC al quesito della provincia. Voglio vedere la gran massa di pensionati e precari che viaggia in aereo!
Perchè allora rivolgersi al PD per reclamare un modello di sviluppo che è, invece, nel DNA della sinistra?
Io credo che ci siano ad Agrigento tante energie intelligenti e positive che sprecano il tempo a fare le prediche al PD, come se non sapessero che quel partito è ormai un aggregato di centro che impernia le relazioni umane e sociali sulla priorità dell'impresa e del profitto ed sul rifiuto dello stato come erogatore di servizi. Da qui la corsa folle verso le privatizzazioni, con le conseguenze sui costi e sulla qualità dei servizi che gli utenti stanno amaramente sperimentando sulla loro pelle (vedi Tarsu ed acqua) ad Agrigento come a Catania.
O Nino pensa, come tanti mediocri fanno, - ed io non credo- che il 13 e 14 aprile 2008 ha rappresentato l'atto finale del giudizio universale, senza appello e senza ritorni?
Come è noto la storia procede a zig-zag. Proprio mentre sembra che sia tramontata per sempre ogni idea di socialismo, il capitalismo si avvita in una delle sue tante crisi il cui sbocco economico e politico è tutto da vedere, mentre d'altro canto esso continua a fomentare guerre in ogni possibile angolo del globo ( è da pensare che il prossimo bersaglio sarà il Sud America non omologato).
Siamo proprio sicuri che non ci sia spazio e bisogno di sinistra?
O le nostre opinioni sono semplicemete riflessi condizionati che si formano esclusivamente per effetto del martellamento mediatico?
Un cordiale saluto a Nino
vincenzo lombardo