martedì 12 gennaio 2010

Silvio Berlusconi: l’inattaccabile re dell’ingiustizia

di Rosy Terrazzino

Sebbene Silvio Berlusconi sia stato oggetto di numerosi procedimenti penali, nessuno di questi si è concluso con una sentenza definitiva di condanna. Alcuni di tali procedimenti sono stati archiviati in fase di indagine; per altri è stato designato un processo nel quale il piccolo uomo è stato assolto. In altri processi, sono state pronunciate, in primo grado o in appello, sentenze di condanna per i più svariati reati (si spazia, infatti, dalla corruzione giudiziaria, al finanziamento illecito a partiti e falso in bilancio). In alcuni casi, dopo un esito del primo o del secondo grado di giudizio per lui negativo, i procedimenti non sono terminati con una sentenza di condanna grazie a sopravvenuta amnistia, all’invenzione di attenuanti che hanno implicato il sopravvenire della prescrizione oppure a nuove norme che hanno modificato le pene. Tra i procedimenti in corso, ricordiamo: Corruzione giudiziaria per tangenti a David Mills; Frode fiscale: creazione di fondi neri, gestendo i diritti tv di Mediaste; Inchiesta Mediatrade: appropriazione, insieme ad un socio occulto, di fondi della società; Corruzione nei confronti di senatori per far cadere il governo Prodi. I processi sono iniziati prima del suo decollo dunque appare evidente come Berlusconi se non fosse entrato in politica sarebbe finito in crack e sicuramente in manette e invece, grazie all’espediente delle leggi ad personam, varate ad hoc dal suo governo, per trarne personale beneficio, ha evitato di essere sentenziato. Nonostante egli non abbia mai subìto alcuna condanna definitiva, svariate pronunce di proscioglimento non ne configurano l’assoluzione bensì la sopraggiunta prescrizione del processo, quindi, sorge immediata la domanda: se avesse voluto dichiarata la sua innocenza anche in tali processi, ovvero se fosse stato innocente, perché non ha rinunciato espressamente alla prescrizione? Ma, chissà come mai, questo pensiero non lo ha mai sfiorato minimamente! Tra tutti i più vergognosi provvedimenti varati dal Parlamento appositamente per favorire la posizione del premier, spiccano senz’altro il lodo Schifani che avrebbe impedito la sottoposizione a processo delle cinque più alte cariche dello Stato tra cui (guarda caso!) il presidente del Consiglio in carica, giustamente dichiarata incostituzionale e il lodo Alfano, riproposizione nell’attuale legislatura, del lodo Schifani, con alcune modifiche rese necessarie dai rilievi della Corte Costituzionale, emanato poco prima che si ultimasse il processo per corruzione nei confronti dell’avvocato David Mills, in cui il Presidente era coimputato. Il lodo Alfano, ulteriore tentativo di salvezza che nasce dall’irrinunciabile necessità di riproporre un disegno di legge salvaguardante l’immunità al Presidente del Consiglio, secondo il contestabilissimo parere del ministro agrigentino, si differenzierebbe dal lodo Schifani e sarebbe compatibile con quanto indicato nella sentenza della Consulta che lo aveva abrogato. Ma lo scorso ottobre anche questo disonorevole lodo viene giustamente ritenuto incostituzionale dalla Corte Costituzionale per violazione nel merito e nel metodo rispettivamente degli articoli 3 e 138 della Costituzione Italiana. Partendo da quanto giá ribadito dalla Corte Costituzionale, che la legge è uguale per tutti, ma non necessariamente la sua applicazione, l’avvocato Niccolò Ghedini, prende spunto per chiedere l’improponibile conferma della costituzionalitá del lodo Alfano, citando come assurdo esempio le norme sui reati ministeriali, dove la legge ordinaria distingue il comune cittadino dal ministro e dal suo eventuale concorrente privato e la fattispecie di legittimo impedimento e della separazione dei processi. Ghedini, dunque, vuole convincere che la legge sul lodo Alfano è assolutamente coerente con i dettati della Costituzione e con i principi emanati dalla Corte Costituzionale, motivando superbamente che il lodo non costituisce un’immunità ma solamente uno strumento necessario a garantire il diritto di difesa di un cittadino che si trova ad essere imputato e, al tempo stesso, a rivestire un’alta carica dello Stato. Il contorto meccanismo ideato da Ghedini è semplice: una prescrizione del processo, anziché del reato, che in futuro sarà scandito in tre termini di fase ciascuna di due anni. È proprio quello che occorre per i casi giudiziari di Berlusconi, infatti, con pochi e semplici calcoli, ci si rende subito conto che, con tale legge le tre indagini salterebbero d’un colpo e Berlusconi continuerebbe ingiustamente ad essere un uomo libero. Chissà cos’altro si inventerà il potente e ingiusto signore di Milano per continuare a sfuggire ai suoi sporchi imbrogli.

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