venerdì 12 marzo 2010

La nuova religione di Stato

Racconto breve di Pasquale Faseli

Tutto principiò da un equivoco. Sulla prima pagina di un giornale a tiratura nazionale comparve un articolo dal titolo: La mafia è una religione non confessata e senza idoli. Dai dibattiti che ne seguirono lungo tutto lo stivale emerse l’assenza dell'organico di insegnanti della nuova religione. E quindi se fino a quel momento nessuno si era preoccupato di creare tale organico era logico pensare che la mafia ben poteva essere una religione ma certamente non era religione di Stato. C'era invero la teoria della palma, adombrata da un famoso scrittore, secondo la quale questa mafia attanagliata in principio solo al piede dello stivale, saliva, saliva; ma quando tempo ci avrebbe messo per arrivare alla rotula? Secondo questa teoria infatti la coltivazione delle palme si sarebbe spostata sempre più a nord a causa della desertificazione di territori che prima non lo erano, ma era un processo lentissimo. Se anche la mafia avesse seguito questo processo avrebbe impiegato secoli per completare l'opera di conversione dell'intera popolazione. E in fondo non sarebbe stata una cosa assurda se si pensa che anche altre religioni, ben più aderenti all'animo umano, avevano impiegato tempi analoghi per diffondersi. Ma non si poteva attendere così tanto, bisognava accelerarne il processo magari con una massiva campagna mediatica. Dopo le prime timide prese di posizione di alcuni giornali locali, anche quelli a tiratura nazionale si fecero partecipi del nuovo credo ospitando articoli di filosofi e filologi, i primi a testimoniarne gli effettivi vantaggi sull'uomo, i secondi a rimarcarne la coerenza con certi testi antichi dei quali si riportavano diversi brani a mo' d'esempio e testimonianza.
In quasi tutti questi articoli veniva presa di mira la scuola e soprattutto la scuola dell’obbligo, la quale non poteva più limitarsi solo a insegnare a leggere e scrivere, compito che a onor del vero svolgeva egregiamente, perché in questo modo si perdeva la grande occasione di formare le coscienze, di inculcare il senso dello “Stato nello Stato” e il rispetto delle sue leggi. Lo Stato ha in mano lo strumento della scuola per far conoscere la mafia al meglio, per divulgarla; formando un esercito di futuri uomini consapevoli, in grado di comprendere che è proprio il costume mafioso che genera occupazione, perché espande l’impreditorialità in ambiti prima impensabili, come ad esempio all'interno degli apparati pubblici, dove prima non c'era. Eppure lo Stato non utilizza questo strumento e chiede, ai cittadini sino a quattordici anni, e con la nuova riforma sino a sedici, che sappiano solo leggere e scrivere, e far di conto. Perché?
Questo perché fu come un sasso gettato nello stagno. Non solo filosofi e filologi, ma anche gli scrittori, che fino a quel momento erano stati a guardare dalla finestra, si buttarono nella mischia prendendo posizioni spesso contrastanti tra di loro, e contribuendo ad aumentare i perché invece di dare una risposta univoca al primo.
Nel frattempo giungevano segnali incoraggianti sia in merito al clima che più velocemente portava verso nord la desertificazione e quindi anche la possibilità di coltivare le palme, in tempi brevi, anche al nord dello stivale, sia in merito alla mafia la quale, anticipando le palme, si stava diffondendo in quei territori da sempre culla di altro credo. Era però una diffusione maculata, ancora molto lontana dall'obiettivo finale che era la conversione, se non dell'intera popolazione, almeno di una cospicua maggioranza. Ecco perché si palesò subito la necessità di fare della scuola l'ambiente dove veicolare il nuovo credo. I presupposti c'erano tutti, c'erano i giovani inconsapevoli affamati di consapevolezze, e c'era il luogo dove erano costretti a soggiornare per un tempo non indifferente. Mancava solo la formazione dell'organico, e qui si scatenò l'uragano. Sulla necessità di un organico di insegnanti della nuova religione non ci furono molte divergenze, in fondo si stavano creando nuovi posti di lavoro. Ma quando si affrontò la parte economica ci furono persino quelli che si alzarono dal tavolo delle trattative andando via senza neppure salutare. Il punto più controverso era questo: chi pagava questi nuovi insegnanti?
Prendendo come riferimento gli insegnanti di religione in essere, questi erano pagati dallo Stato e nominati dalla curia, quindi, secondo logica, anche in questo caso dovevano essere stipendiati dallo Stato.
“Ma che scherziamo!” esclamò un sottosegretario “anche la mafia è uno Stato, quindi, in quanto Stato, si pagasse di tasca propria i propri divulgatori. Non può stare un giorno sul pero e un altro giorno sul melo a seconda della convenienza!”
“Sono d'accordo anch'io” intervenne a dire un ministro senza portafoglio “la mafia è persino più ricca dello Stato, il nostro Stato intendo, e quindi è giocoforza che si faccia carico delle spese di finanziamento delle Partite di Stipendio. Tanto più che solo essa ne trarrà vantaggio da questa operazione”.
Non l'avesse mai detto. “Trarne vantaggio!” tuonò un capobastone “il vantaggio è di tutta la società, perché quando finalmente verrà fatta chiarezza su ciò che noi rappresentiamo, quel giorno ognuno ci vedrà meglio. Voglio dire, vedrà meglio noi, cioè capirà che il diavolo non è poi così brutto di come si dipinge.”
“Cosa c'entra il diavolo adesso!” esclamò un rappresentante della cupola “lascia parlare me che almeno sono istruito. Ed io dico questo: coi Patti Lateranensi vi siete accollati le spese degli insegnanti di religione, in quanto religione di Stato, non vedo perché per quest'altra religione di Stato, volete fare una discriminazione, discriminando una religione a vantaggio di un'altra. Questo, per me, è razzismo!”
“Ma che facciamo adesso!” cominciò a dire un alto dirigente prevosto “ci mettiamo a discutere sul sesso degli angeli? Non abbiamo sempre, in passato, trovato soluzioni a problemi ben più scottanti di questo? E quindi, suvvia, non facciamo i bambini ché i grandi ci guardano... La mia proposta è di ratificare da subito un accordo ufficiale secondo il quale la mafia, in quanto Stato nello Stato, si accolla tutte le spese del nuovo organico di fatto e di diritto. In contemporanea si fa un altro accordo non ufficiale con il quale lo Stato garantisce alla mafia di rientrare per altre vie, che poi sono le solite vie, delle somme che si è testé accollata.”.
“La proposta mi va bene ma ad una condizione” disse il ministro senza portafoglio “che alla ratifica ufficiale siano presenti organi di entrambi gli Stati, e in quella non ufficiale organi nominati da entrambi gli Stati, affinché in questa seconda ratifica gli Stati siano presenti e assenti nello stesso tempo. In tal guisa si lancia un messaggio equivoco a chi voglia equivocare in futuro.”
L'accordo venne siglato insieme ad alcuni emendamenti che riportiamo a onor di cronaca. Il programma di insegnamento della nuova religione doveva essere ecumenico e quindi comprendere, oltre la mafia, anche la camorra, la ‘ndrangheta, la stidda, ed altre minori organizzazioni che ne avessero fatto richiesta allegando una documentazione dettagliata sul territorio convertito con le firme di almeno il dieci per cento dei soggetti convertiti; era anche richiesto di allegare tutti i certificati di esistenza in vita di detti soggetti. Questo procedimento farraginoso aveva lo scopo di scoraggiare altre associazioni dal proposito di conquistare alla loro causa, non solo coloro che non fossero già conquistati da altre cause, ma anche quelli che, pur conquistati da una causa, non ne avessero sentito la chiamata. Inoltre, nonostante fosse garantita la libertà di avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento, si caldeggiava la scelta di avvalersi sempre, fornendo in appendice alcuni esempi sulle conseguenze per chi non si avvaleva.
Apposte le firme l'alto dirigente prevosto fece notare una dimenticanza non di poco conto, disse infatti: “Che patti sono questi?”
“In che senso!” esclamò come sbigottito un capomandamento.
“Voglio dire: come li chiamiamo? In precedenza i Patti Lateranensi presero il nome del palazzo di San Giovanni in Laterano, che era il luogo dove vennero siglati. Noi qui invece sigliamo dei patti senza nome, anonimi, per cui non potranno neppure essere menzionati sui libri di storia. Senza contare il rischio che vengano recepiti come patti a sovranità limitata.”
Compresa da tutti l'imprescindibile necessità di nominare i patti si aprì subito un dibattito per confrontare le varie proposte senza riuscire però a venirne a capo, in quanto ogni capomandamento voleva che si chiamassero col nome del proprio mandamento.
Che fare?
Fortunatamente c'era presente anche un barman, chiamato ad approvvigionare il conciliabolo di caffè, pasticcini e tarallucci, il quale con improntitudine disse:
“Chiedo scusa alle Vostre Eccellenze, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare quest'ultimo dibattito; secondo me la soluzione al vostro problema sta scritta nel dizionario”
“Spiegati meglio” disse distrattamente uno degli astanti, destandosi da un incipiente torpore.
“Sul dizionario c'è scritto che la mafia è un'organizzazione criminale, quindi è logico chiamare questi patti, patti criminali”.
Successe un pandemonio; alcuni si alzarono in piedi ad applaudire, uno andò a stringere la mano al barman, un altro, dopo averlo baciato alla sua maniera, gli disse: “Picciotto, da domani tu lavorerai per me, sei sprecato nel mestiere che fai!”
Così per merito di un giovanotto da bar, ma la notizia fuori l'assise non trapelò, che nacquero i famosi Patti Criminali.

Nessun commento: