mercoledì 7 aprile 2010

CHI FU VERAMENTE GIUDA: UN TRADITORE O LO SPECCHIO DI GESU’?

di Agostino Spataro

In questi giorni di Pasqua, abbiamo assistito nei nostri paesi e città alle tante processioni della “via crucis” che quest’anno è stata particolarmente dolente per il Vaticano e, in generale, per la chiesa cattolica.
Sono stati rievocati il sacrificio del Cristo e il dramma umano di Giuda, suo apostolo, da tutti bollato come il traditore per antonomasia.
Fino al punto che certa tradizione popolare ha scelto il comportamento dell’Iscariota come il più abietto fra le miserie della viltà terrena e talvolta, assumendolo in maniera troppo estensiva, giunge a scambiare per “tradimento” un atto di dovere civico e/o di dissociazione dal male.
Infatti, “Giuda” può essere anche una persona retta che denuncia un reato, un abuso, un “pentito” di mafia, un politico che si allontana da un capo corrotto, ecc.
Ma Giuda fu veramente un malvagio traditore?
Il teologo svedese Nils Runeberg ne dubita e, in un suo libro degli inizi del secolo scorso, cercò di dare una risposta, coraggiosa quanto sofferta, al terribile dilemma: chi fu veramente Giuda Iscariota un traditore o lo specchio di Gesù?
Questione complessa, intrigante su cui indagò anche Jorge Luis Borges con un suo saggio un po’ presago, (“Finzioni” del 1944, ristampato nel 2004 da Einaudi ) dove il celebre scrittore argentino analizza le ardite tesi contenute nel “Kristus och Judas” di Runeberg che propendono per il secondo attributo, giungendo, addirittura, ad asserire che “non una sola, ma tutte le cose che la tradizione attribuisce a Giuda Iscariota sono false”.
Com’era prevedibile, Runeberg - che Borges assicura essere “profondamente religioso” e membro dell’Unione evangelica nazionale- sarà sconfessato e bollato d’eresia dai rappresentanti di tutte le confessioni cristiane che consideravano intollerabili le sue teorie.
Non intendo addentrarmi in tali intricate questioni, né tanto meno parteggiare per l’una tesi o per l’altra, ma solo segnalare al lettore l’originalità delle sopraccitate opere e soprattutto i passaggi salienti del saggio borgesiano che, se non altro, ha il merito di conferire dignità intellettuale ad una tesi che, andando controcorrente, ha osato sfidare l’anatema.
Pur con tutto il rispetto dovuto al genuino sentimento di religiosità popolare, l’argomento, per nulla blasfemo, merita considerazione quantomeno per l’attualità acquisita dopo la pubblicazione, nel 2005, da parte di National Geographic del cosiddetto “Vangelo di Giuda” ossia la traduzione del papiro, in lingua coopta, ritrovato in Egitto negli anni ‘70.
Ma cerchiamo di seguire il ragionamento del teologo svedese il quale, inseguito da diverse convergenti condanne d’eresia, fu costretto a riscrivere il suo libro per ben tre volte, senza tuttavia abiurare alla sua tesi di fondo.
In primis, egli rileva “la superfluità” del tradimento di Giuda, poiché per identificare Gesù, ovvero un predicatore famosissimo che parlava ogni giorno o faceva miracoli davanti a migliaia di persone, non era necessario che un apostolo lo indicasse (col famoso bacio) agli sgherri venuti ad arrestarlo. Effettivamente, trattasi di un’osservazione logica che non fa una grinza. Tuttavia- prosegue Runeberg - il fatto è accaduto e non fu dovuto a mera causalità (inammissibile nella Scrittura), ma “fu cosa prestabilita, e che ebbe il suo luogo misterioso nell’economia della redenzione”.
Quale fu il movente? La tesi che giustifica l’incomprensibile accadimento è quella che, il Verbo, incarnandosi, “passò dall’eternità alla storia, dalla felicità senza limiti alla mutazione e alla morte…e che per rispondere a tanto sacrificio era necessario che un uomo, in rappresentanza di tutti gli uomini, facesse un sacrificio condegno”.
Ecco, dunque, chiarito l’enigma di Giuda Iscariota che Runeberg spiega nel dettaglio: egli fu l’unico, tra gli apostoli, ad intuire la tremenda missione di Gesù e, da buon discepolo, decise di tradire il suo Maestro, abbassandosi alla condizione di delatore e incassando i trenta denari, il prezzo del tradimento, per annichilirsi a livello del peggiore malfattore e così meritarsi la più grande riprovazione.
Nella seconda edizione, il teologo svedese, pur correggendo il tiro su taluni aspetti, confermò la sua interpretazione del comportamento di Giuda che “non può essere ascritto alla cupidigia”, semmai a un movente opposto e nobile: l’ascetismo illimitato.
Giuda “agì con gigantesca umiltà; si stimò indegno d’esser buono…mortificò il suo spirito. Premeditò con lucidità terribile le sue colpe…e scelse quelle cui non visita alcuna virtù: l’abuso di fiducia e la delazione…Giuda cercò l’inferno, perché la felicità del Signore gli bastava. Pensò che la felicità, come il bene, è un attributo divino, cui non debbono usurpare gli uomini”.
Nella terza edizione, Runeberg estremizzò la sua visione fino a identificare Giuda come specchio di Cristo. Per quanto possa apparire assurda, la riportiamo, in estrema sintesi e sulla base del racconto che ne fa Borges: Dio, per salvarci, avrebbe potuto scegliere uno qualunque dei destini che tramano la perplessa rete della storia; avrebbe potuto essere Alessandro o Pitagora o Rurik o Gesù; scelse un destino infimo: fu Giuda”.
Giuda, dunque, l’incompreso, il Dio sconosciuto. Non a caso il libro di Runeberg si apre con
un’ epigrafe, da Borges definita “perfida”, che altro non è che un versetto del Vangelo di Giovanni
“Nel mondo era, e il mondo fu fatto per lui, e il mondo non lo conobbe”.

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