Sarà il Copasir ad occuparsi, di congiunto con il governo, della revisione della normativa sugli 007. Lo ha detto il sottosegretario Letta, spiegando che la modifica all’applicazione del segreto di stato in questioni riguardanti i servizi veniva stralciata dal ddl intercettazioni. Con il plauso di D’Alema: è un tema che deve essere affrontato "con uno spirito Bipartisan". Magari proprio nella speranza che questo spirito bipartisan riesca a cogliere quelle richieste che la società avanza da anni.
Che sul segreto di stato si dovesse intervenire – infatti – erano (e sono) in molti a dirlo. Ma che l’intervento dovesse essere del tenore di quello proposto dal governo è un altro discorso.
L’idea di fondo di chi da anni si muove e chiede a gran voce che vengano modificate norme e procedure relative all’opposizione del segreto di stato è – anzi – completamente opposta: piuttosto che estendere la copertura offerta dal segreto stesso (la proposta originaria del governo nel ddl era secretare tutte le conversazioni in cui si trovassero coinvolti agenti dei Servizi), la ratio delle modifiche richieste è quella di un maggiore potere di controllo e sanzione nei confronti del “custode” del segreto stesso. E cioè il presidente del consiglio.
Ad oggi, il meccanismo di funzionamento del segreto di stato è molto semplice: un pm indaga e si trova a richiedere determinate informazioni a un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Che può opporre il segreto di stato. In questo caso, il giudice può chiedere al presidente del consiglio di confermare o meno l’opposizione del segreto. Il presidente del consiglio risponde e la storia finisce lì con buona pace del magistrato inquirente. E spesso anche delle indagini.
Già qualche anno fa Libero Mancuso, giudice istruttore nel processo per la strage alla stazione di Bologna, rilevava la necessità di rivedere "il sistema di controlli sul capo del governo" poiché "nel caso in cui opponga un segreto che non doveva essere posto e, quindi, in violazione della legge, dovrebbe incorrere in responsabilità politiche". Ad oggi tale controllo sarebbe affidato al Copasir, che, accertata una irregolarità, dovrebbe darne (a maggioranza) comunicazione alle Camere, cui spetterebbe la possibilità di sancire l’irregolarità dell’atto del capo del governo. Tradotto: tutela ultima della legittima opposizione del segreto è l’onestà della maggioranza parlamentare di andare contro il “suo” presidente del consiglio.
Scenari del tutto diversi si aprirebbero qualora esistesse la possibilità che il giudice, non convinto della legittimità dell’opposizione del segreto di stato, potesse sollevare un conflitto tra poteri dello stato davanti alla Corte Costituzionale, in grado di decidere nel merito della questione. Niente di nuovo, d’altronde. Già nel 2005 lo aveva sostenuto Di Pietro in un convegno sul tema. Lo sostengono numerosi giuristi. E anche le varie associazioni di familiari delle vittime delle stragi. O il Comitato Torquato Secci, nato a Bologna per chiedere proprio l’adozione di strumenti di controllo sul presidente del consiglio, per evitare che il segreto potesse essere utilizzato in procedimenti per “fatti eversivi dell’ordine costituzionale”. Già, perché questa ipotesi è vietata da una legge del 1977, ma ciò non ha impedito che il segreto di stato sia stato utilizzato per bloccare le indagini sull’Italicus e, probabilmente, seppur in modo indiretto, per sviare e rallentare quelle sulla stazione di Bologna. E i dubbi su Piazza Fontana, su Ustica e su una intera stagione politica continuano ad essere molto forti, mentre le indagini sui mandanti occulti delle stragi del 92-93 sono ancora in corso…
Negli anni sono state scritte petizioni, presentate proposte di legge popolare (nel 1984 furono quasi in centomila a firmare: la proposta giace ancora lì). Il Comitato Secci ha scritto al Presidente della Repubblica. Tutto inutile. L’opposizione del segreto continua ad essere totalmente discrezionale, anche al di fuori della legge o conto la legge: secretazione delle planimetrie delle residenze berlusconiane docet.
Tra quasi due mesi si commemorerà il trentennale della strage alla stazione di Bologna. In tanti saranno ancora lì a chiedere giustizia. Una giustizia impossibile – affermano – senza una revisione del sistema che consenta un uso più legale e meno arbitrario del segreto di stato. Spirito bipartisan permettendo.
http://gaetanoalessi.blogspot.com/
Che sul segreto di stato si dovesse intervenire – infatti – erano (e sono) in molti a dirlo. Ma che l’intervento dovesse essere del tenore di quello proposto dal governo è un altro discorso.
L’idea di fondo di chi da anni si muove e chiede a gran voce che vengano modificate norme e procedure relative all’opposizione del segreto di stato è – anzi – completamente opposta: piuttosto che estendere la copertura offerta dal segreto stesso (la proposta originaria del governo nel ddl era secretare tutte le conversazioni in cui si trovassero coinvolti agenti dei Servizi), la ratio delle modifiche richieste è quella di un maggiore potere di controllo e sanzione nei confronti del “custode” del segreto stesso. E cioè il presidente del consiglio.
Ad oggi, il meccanismo di funzionamento del segreto di stato è molto semplice: un pm indaga e si trova a richiedere determinate informazioni a un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Che può opporre il segreto di stato. In questo caso, il giudice può chiedere al presidente del consiglio di confermare o meno l’opposizione del segreto. Il presidente del consiglio risponde e la storia finisce lì con buona pace del magistrato inquirente. E spesso anche delle indagini.
Già qualche anno fa Libero Mancuso, giudice istruttore nel processo per la strage alla stazione di Bologna, rilevava la necessità di rivedere "il sistema di controlli sul capo del governo" poiché "nel caso in cui opponga un segreto che non doveva essere posto e, quindi, in violazione della legge, dovrebbe incorrere in responsabilità politiche". Ad oggi tale controllo sarebbe affidato al Copasir, che, accertata una irregolarità, dovrebbe darne (a maggioranza) comunicazione alle Camere, cui spetterebbe la possibilità di sancire l’irregolarità dell’atto del capo del governo. Tradotto: tutela ultima della legittima opposizione del segreto è l’onestà della maggioranza parlamentare di andare contro il “suo” presidente del consiglio.
Scenari del tutto diversi si aprirebbero qualora esistesse la possibilità che il giudice, non convinto della legittimità dell’opposizione del segreto di stato, potesse sollevare un conflitto tra poteri dello stato davanti alla Corte Costituzionale, in grado di decidere nel merito della questione. Niente di nuovo, d’altronde. Già nel 2005 lo aveva sostenuto Di Pietro in un convegno sul tema. Lo sostengono numerosi giuristi. E anche le varie associazioni di familiari delle vittime delle stragi. O il Comitato Torquato Secci, nato a Bologna per chiedere proprio l’adozione di strumenti di controllo sul presidente del consiglio, per evitare che il segreto potesse essere utilizzato in procedimenti per “fatti eversivi dell’ordine costituzionale”. Già, perché questa ipotesi è vietata da una legge del 1977, ma ciò non ha impedito che il segreto di stato sia stato utilizzato per bloccare le indagini sull’Italicus e, probabilmente, seppur in modo indiretto, per sviare e rallentare quelle sulla stazione di Bologna. E i dubbi su Piazza Fontana, su Ustica e su una intera stagione politica continuano ad essere molto forti, mentre le indagini sui mandanti occulti delle stragi del 92-93 sono ancora in corso…
Negli anni sono state scritte petizioni, presentate proposte di legge popolare (nel 1984 furono quasi in centomila a firmare: la proposta giace ancora lì). Il Comitato Secci ha scritto al Presidente della Repubblica. Tutto inutile. L’opposizione del segreto continua ad essere totalmente discrezionale, anche al di fuori della legge o conto la legge: secretazione delle planimetrie delle residenze berlusconiane docet.
Tra quasi due mesi si commemorerà il trentennale della strage alla stazione di Bologna. In tanti saranno ancora lì a chiedere giustizia. Una giustizia impossibile – affermano – senza una revisione del sistema che consenta un uso più legale e meno arbitrario del segreto di stato. Spirito bipartisan permettendo.
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