giovedì 14 ottobre 2010

GLI ARRESTI ALL'UMBERTO: SE DIMENTICHIAMO IL VALORE DELLA LEGALITÀ

Di Enrico Bellavia - Repubblica
Questa è la città che ha imparato sul proprio sangue che il poliziotto non è un nemico ma un uomo dello Stato che rischia la vita. Sull´orrore delle stragi del 1992 è stata costruita una consapevolezza che è anche e soprattutto nelle giovani generazioni. Che si appassionano all´impegno dei ragazzi della catturandi, che si ritrovano a festeggiare sotto la Squadra mobile all´arresto di un latitante, che per vocazione e convinzione contemplano la possibilità di vestire una divisa, forti anche del retaggio di quegli anni. La lezione che ci impartisce la vicenda dei ragazzi ingiustamente - così ha stabilito un giudice - arrestati davanti all´Umberto, con un contorno di gratuita rudezza, se non di violenza, dimostra però alcune cose che, date queste premesse, converrà rimarcare.Questi ragazzi, nel 1992, non erano neppure nati ma di quella consapevolezza sono comunque figli. Hanno però vissuto nel dopo e sono cresciuti coltivando, oltre a uno spirito legalitario, il dissenso su altri temi, sentendosi raccontare delle bombe di Palermo dai padri e dai fratelli.
Forse sono andati anche loro ad applaudire talvolta sotto la questura e avranno partecipato a una delle tante iniziative antimafia. Anche se quel che hanno visto di questo mondo passa per il G8, Aldrovandi, Sandri e Cucchi, specchio di un clima pesante, creato ad arte da chi ha avuto responsabilità di governo in questi anni. Che si è tradotto nella risposta poliziesca come unico antidoto alle emergenze sociali. In questo stesso tempo hanno vissuto anche i poliziotti che stavano davanti agli studenti. Con questi stessi stimoli, sono cresciuti quei ragazzi che in via Filippo Parlatore stavano dall´altra parte, con i tesserini e le manette. E proprio per questo, gli uni e gli altri, non avrebbero dovuto guardarsi in cagnesco. Non avrebbero dovuto percepirsi come avversari. I poliziotti non avrebbero dovuto immaginare di trovarsi di fronte a una minaccia da disinnescare in fretta, né i ragazzi avrebbero dovuto avvertirli come ostili e perciò da tenere a distanza.Così non è stato. La manifestazione degli universitari davanti al liceo Umberto era pacifica: avrebbe potuto degenerare solo se esponenti della fazione opposta, "i fascisti", si fossero fatti vivi, ma non è successo. Il sit-in non era autorizzato, vero. Ma dopotutto si trattava di un volantinaggio e non di un corteo. E infatti non è in questo l´errore che si può contestare ai ragazzi. Lo sbaglio sta semmai nel rifiuto di esibire i documenti. Risiede nell´atto di sottrarsi all´identificazione che è una prassi, forse non piacevole, ma prevista da quelle stesse leggi a cui ci si richiama con diritto quando si rivendica la libertà di esporre liberamente il proprio pensiero e che i poliziotti sono chiamati a far rispettare. Nel momento stesso in cui si pretende il rispetto delle regole di democrazia non ci si sottrae all´obbligo di rispettarle. Solo così quelle idee assumono dignità e sottolineano, quando è necessario, se gli ambiti per esprimerle sono angusti o agevoli. Se le condizioni per dire la propria sono minacciate da qualcuno o qualcosa. La trincea del limite del lecito non la si difende sconfinando.Ma in nessun modo questo da solo basta a condurre gli eventi nella direzione che hanno preso. La consapevolezza da parte degli agenti di non essere andati lì a reprimere ma a vigilare, metodi meno sbrigativi e un maggiore buon senso avrebbero senz´altro evitato una contrapposizione che a parole nessuno voleva alimentare. E sarebbe stato giusto evitarla, in nome di quel capitale di coscienza civile, di coesione sociale conseguito a fatica e tra i lutti. E che è fragile e non è dato per sempre. Perché scendere in piazza a manifestare, reclamare diritti e regole, elencare i bisogni, rimarcare valori sui quali si fonda il nostro patto costituzionale è un esercizio di cittadinanza del quale Palermo ha avvertito un disperato bisogno. Un balsamo di cui per prime le istituzioni, fatte della carne e del sudore degli uomini, hanno tratto beneficio. Un patrimonio che è la misura della crescita di una città che troppo spesso è stata sorda, indolente, muta e apatica. Proprio per la storia della polizia a Palermo, ci si aspettava, forse sbagliando, che davanti a quel liceo ci fosse uno scarto culturale in più. Ci si aspettava che si mettesse sul piatto il proprio patrimonio di credibilità che ha in questa terra la quota maggioritaria, prima di avventurarsi in una sterile prova di muscoli.


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