mercoledì 3 novembre 2010

La necessità di un'antimafia sociale

Andrea Casano X AdEst

Con Tommasino ci siamo conosciuti giocando a pallone per le strade del quartiere Giardinelli. Un rione di Gela. Come tanti quartieri del Sud Italia, l'abusivismo incontrollato aveva creato un ammasso di cemento. Grezzi esternamente, i palazzi erano cresciuti piano dopo piano, sovrastati dai tipici serbatoi dell'acqua per assicurarla anche in periodi in cui scarseggiava. Abitavamo a 50 metri l'uno dall'altro. Tutti i pomeriggi la partita era d'obbligo. Il padre di Tommasino lavorava al Nord. Il fratello arrestato per droga. E lo zio agli arresti domiciliari dopo un'inchiesta sul pizzo a Gela. La mamma tirava avanti la baracca. A Tommasino non piaceva studiare. Fin da piccolo, mostrava una forte repulsione per ciò che non rientrava nei canoni della legalità, nonostante la situazione in famiglia. Non so perchè, ma non si era mai avvicinato al gruppo di quei ragazzi, per così dire, poco raccomandabili. Dopo anni, ci ritroviamo ancora con Tommasino. Per un caffè o una chiacchierata. Ancora oggi si mostra convinto di quello che metteva in pratica allora. Ripensando a ciò che era, ed è oggi, la realtà sociale gelese, sarebbe potuto entrare nelle maglie della mafia senza molte difficoltà. E la situazione in famiglia aumentava queste possibilità. Si è sempre rifiutato, Tommasino. Adesso lavora come gommista portando a casa il suo onesto stipendio a fine mese. È felice così.
Dei ragazzi che sono cresciuti con noi in strada, alcuni sono stati arrestati. Per incendio doloso o per semplice furto. In altre occasioni, perchè trovati in possesso di armi. Era evidente tra le pietre che delimitavano il nostro campo di asfalto, una certa attrazione per la figura del delinquente. Il poter prevaricare gli altri a proprio vantaggio. Si sa, potere e ricchezza hanno da sempre affascinato l'uomo, la storia ne è testimone. La facilità di guadagno, che la mafia purtroppo rappresenta al Sud, per le mesate che assicura agli affiliati, è un incentivo all'allargamento del suo braccio armato. Nelle zone più a rischio, l'assenza di un tessuto sociale recettivo e attivo, e l'assenza dello stato, che quando è presente, viene visto come un intruso, possono solo favorire il protrarsi di questo modo di vivere e vedere la realtà.
Partendo dal pressupposto che siamo di fronte a un problema, che è prettamente culturale e che ha avuto la sua genesi prima dell'unità d'Italia, è necessaria, perchè credo che i tempi siano maturi, una svolta verso l'antimafia. Da troppo tempo la lotta alla mafia è una disputa che vede il sacrificio di pochi. È ormai necessario smuovere le singole coscienze. Fare sentire questa spina nel fianco della società, come una questione pubblica, una faccenda di tutti. Educare, iniziando dalle giovani generazioni, alla bellezza della libertà è il primo passo. Utilizzando il mezzo di comunicazione più naturale che abbiamo, la parola. Sempre meno volte, ormai, ci troviamo a dialogare con qualcuno. Una sindrome, che ha colpito anche le istituzioni, che si sono preoccupate solo di rinchiudere la lotta alla mafia, dentro i palazzi. Troppe volte, poi, sono state permesse candidature sporche. Sarebbe necessario, invece, inserirsi nel tessuto sociale, soprattutto a livello delle fasce più disagiate, rendendole partecipi della vita collettiva cittadina. Dialogando, nelle scuole, con le famiglie, con i lavoratori, troppo spesso sfruttati dai caporali, sarà possibile estirpare quel classico atteggiamento del "niente ho visto e niente so". Bisogna rendersi conto che la vera partita contro la mafia si gioca nelle piazze, nelle strade, nei quartieri di periferia. Solo riappropriandoci e facendo rivivere questi luoghi pubblici per eccellenza, si potrà giocare faccia a faccia contro i mafiosi. Sono questi, infatti, i punti dove le cosche continuano a trovare linfa per la base della piramide mafiosa, facendo leva sulla povertà e sulla precarietà della vita. Andando a destabilizzare l'appoggio solido, tutta la piramide dovrà venire giù da sè.
Sono le 8 passate. Tommasino è sulla via di casa. Su quelle strade, dove passavamo intere giornate a rincorrere un pallone, adesso cammina esausto per la giornata di lavoro conclusa. Nonostante lo sporco degli pneumatici e il sudore misto a polvere sulla faccia, Tommasino si sente libero. Libero di non dover dipendere dalle decisioni dei mammasantissima della mafia. Libero di non avere conti in sospeso con qualcuno. È felice così, Tommasino.
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