Per la prima volta in vita mia ho preso un mese di ferie, quel periodo in cui stacchi la spina dalla routine e ti dedichi completamente ad altro.
Avevo l’abitudine di frequentare quotidianamente il sito di AdEst on line; l’ho fatto fino al primo novembre quando venne annunciata la morte di Mariano Burgio. Dopo quel rito funebre irrituale durante il quale tanti a-comunisti hanno decantato le virtù del comunista dirigente di agricoltori ho staccato la spina dal sito e mi sono dedicato ad altro. Ho ripreso la frequentazione abituale del sito ieri. Quasi un mese di ferie: le uniche che ho preso in vita mia. Al ritorno sul sito mi vedo schiaffare in viso il titolo di un libro “Siamo tutti mafiosi”. Lì per lì ho pensato che fosse l’opera di un mafioso che, per giustificare le sue scelte e le sue condotte, scaricava sulla collettività il peso delle sue responsabilità, chiamando la società ad assumersi l’onere della correità. E’ un trucco vecchio quanto il mondo. Il potente condiziona i sudditi al punto di indurli a pensare che egli sia la loro espressione, che i suoi interessi coincidono con quelli dei sudditi. E’ quello che fa il mafioso, che si erge a nume tutelare di una collettività e la asservisce ai suoi voleri. E’ quello che ha fatto Berlusconi in 25 anni di bombardamento mediatico con il quale ha asservito ai suoi desiderata la volontà di un popolo passivizzato, fino al punto di fargli ritenere, giusto per fare un esempio, che una legge contro le intercettazioni è uno strumento per difendere la sua privacy.
Torniamo al libro. Leggendo il nome dell’autore e scorrendo lungo i post del sito ho scoperto che si tratta di un professionista originario di Raffadali che si è stabilmente trapiantato al nord.
Poi ho letto un estratto relativo agli anni ’60 raffadalesi.
Leggi che ti leggi, tra le righe ho scoperto che l’autore con quel titolo voleva dire in realtà: voi siete tutti mafiosi, io no, non c’entro, perché la mia lunga permanenza nella frescura padana mi ha purificato. Se invece quel titolo vuole essere auto assolutorio coinvolgendo nel degrado mafioso tutti e tutto, l’autore prende un abbaglio clamoroso. Parli per sé e non coinvolga qualunquisticamente l’universo mondo. Si da il caso che il titolare di questo blog è stato vittima di intimidazioni mafiose e persecuzioni giudiziarie intimidatorie. Si da il caso che in Sicilia, quella che nel titolo viene presentata come un omogeneo grumo mafioso, ci sono state persone che ci hanno rimesso la vita nel contrasto alla mafia criminale e ai suoi complici politici. Qualche nome, giusto per rinfrescare la memoria del nostro autore: Accursio Miraglia, Salvatore Carnevale, Pio La Torre, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Rocco Chinnici, Rosario Livatino, i giornalisti De Mauro e Alfano e centinaia di tanti altri, soprattutto magistrati e forze dell’ordine, comprese le masse contadine raffadalesi che nel secondo dopoguerra, sotto la guida di coraggiosi leader comunisti, hanno affrontato, a costo di rischiare arresti e le loro stesse vite, la mafia criminale e i suoi alleati politici e clericali durante l’occupazione delle terre, nella loro lotta per affrancarsi dalla schiavitù medievale e mafiosa. In tempi più recenti associazioni di giovani, imprenditori singoli ed associati, settori ampi delle istituzioni, oltre ai partiti di sinistra, hanno dimostrato di non accettare e meritare lo stereotipo di comodo “Siamo tutti mafiosi” Eh no, non ci siamo. Il signor Faseli, mi perdoni se non elenco tutti i suoi titoli, non può fare come quell’illustre politico che si piazzava la coppola in testa e diceva sorridente “Io sono mafioso”, come ad esorcizzare la pericolosità del fenomeno ed a dire “Io sono voi, voi siete me”.Siamo uguali.
L’altro aspetto che disturba nel leggere l’estratto sugli anni ‘60 riguarda l’emigrazione.
Intanto l’approccio alle problematiche sociali non può fondarsi su percezioni epidermiche e banalizzazioni da marciapiede. Colpisce sgradevolmente la modalità di narrazione del dramma dell’emigrazione: una gara fra donne sanguisughe e vanitose che spingevano i mariti in Germania per superare le comari nella costruzione e nell’arredamento delle case. Una visione francamente misogina che fa strage delle sofferenze e delle umiliazioni a cui venivano sottoposte le vedove bianche, che ignora lo strazio del logoramento dei rapporti sentimentali, che cela il dramma di bambini che crescono senza il sostegno affettivo della figura paterna. Una rappresentazione grottesca dell’emigrazione. Nessun tentativo- salvo che esso sia contenuto all’interno del libro- di indagare le responsabilità politiche di chi ha concepito il meridione come riserva di manodopera a buon mercato per aiutare lo sviluppo del nord Italia prima, del nord Europa dopo. Non uno sforzo per spiegarsi le condizioni di povertà ed arretratezza in cui le classi dirigenti- o dominanti?- meridionali tenevano, e tengono, le loro popolazioni. Dice niente al nostro autore il fatto che negli ultimi tempi 20 mila giovani ogni anno lasciano la Sicilia? .Gli sfiora la mente che molti di essi sono magari giovani che vogliono sfuggire ai condizionamenti mafiosi del potere, che ricorre al clientelismo come forma di “pizzo” politico, per asservire le loro coscienze?
Un occhio superficiale che vede le questioni col metro del moralismo può ritenere che la vittima non può essere complice del suo carnefice; ma se il carnefice ti tiene un coltello puntato sul collo come fai a ribellarti?
Fuori di metafora, più aumenta lo stato di bisogno e meno garanzie legali si hanno- ed è quello che hanno fatto le classi dirigenti da sempre in Sicilia, ed ora sta avvenendo a livello globale- più facile diventa per la mafia criminale e politica, per il potere, essere arrogante e prepotente.Eppure…..Eppure c’è chi si ribella, anche qui, anche a Raffadali. E allora, per favore, niente coppola sulla testa di tutti, neanche per ischerzo. I non mafiosi vogliono continuare a tenere la testa alta e sgombra di coppole e berretti.
Avevo l’abitudine di frequentare quotidianamente il sito di AdEst on line; l’ho fatto fino al primo novembre quando venne annunciata la morte di Mariano Burgio. Dopo quel rito funebre irrituale durante il quale tanti a-comunisti hanno decantato le virtù del comunista dirigente di agricoltori ho staccato la spina dal sito e mi sono dedicato ad altro. Ho ripreso la frequentazione abituale del sito ieri. Quasi un mese di ferie: le uniche che ho preso in vita mia. Al ritorno sul sito mi vedo schiaffare in viso il titolo di un libro “Siamo tutti mafiosi”. Lì per lì ho pensato che fosse l’opera di un mafioso che, per giustificare le sue scelte e le sue condotte, scaricava sulla collettività il peso delle sue responsabilità, chiamando la società ad assumersi l’onere della correità. E’ un trucco vecchio quanto il mondo. Il potente condiziona i sudditi al punto di indurli a pensare che egli sia la loro espressione, che i suoi interessi coincidono con quelli dei sudditi. E’ quello che fa il mafioso, che si erge a nume tutelare di una collettività e la asservisce ai suoi voleri. E’ quello che ha fatto Berlusconi in 25 anni di bombardamento mediatico con il quale ha asservito ai suoi desiderata la volontà di un popolo passivizzato, fino al punto di fargli ritenere, giusto per fare un esempio, che una legge contro le intercettazioni è uno strumento per difendere la sua privacy.
Torniamo al libro. Leggendo il nome dell’autore e scorrendo lungo i post del sito ho scoperto che si tratta di un professionista originario di Raffadali che si è stabilmente trapiantato al nord.
Poi ho letto un estratto relativo agli anni ’60 raffadalesi.
Leggi che ti leggi, tra le righe ho scoperto che l’autore con quel titolo voleva dire in realtà: voi siete tutti mafiosi, io no, non c’entro, perché la mia lunga permanenza nella frescura padana mi ha purificato. Se invece quel titolo vuole essere auto assolutorio coinvolgendo nel degrado mafioso tutti e tutto, l’autore prende un abbaglio clamoroso. Parli per sé e non coinvolga qualunquisticamente l’universo mondo. Si da il caso che il titolare di questo blog è stato vittima di intimidazioni mafiose e persecuzioni giudiziarie intimidatorie. Si da il caso che in Sicilia, quella che nel titolo viene presentata come un omogeneo grumo mafioso, ci sono state persone che ci hanno rimesso la vita nel contrasto alla mafia criminale e ai suoi complici politici. Qualche nome, giusto per rinfrescare la memoria del nostro autore: Accursio Miraglia, Salvatore Carnevale, Pio La Torre, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Rocco Chinnici, Rosario Livatino, i giornalisti De Mauro e Alfano e centinaia di tanti altri, soprattutto magistrati e forze dell’ordine, comprese le masse contadine raffadalesi che nel secondo dopoguerra, sotto la guida di coraggiosi leader comunisti, hanno affrontato, a costo di rischiare arresti e le loro stesse vite, la mafia criminale e i suoi alleati politici e clericali durante l’occupazione delle terre, nella loro lotta per affrancarsi dalla schiavitù medievale e mafiosa. In tempi più recenti associazioni di giovani, imprenditori singoli ed associati, settori ampi delle istituzioni, oltre ai partiti di sinistra, hanno dimostrato di non accettare e meritare lo stereotipo di comodo “Siamo tutti mafiosi” Eh no, non ci siamo. Il signor Faseli, mi perdoni se non elenco tutti i suoi titoli, non può fare come quell’illustre politico che si piazzava la coppola in testa e diceva sorridente “Io sono mafioso”, come ad esorcizzare la pericolosità del fenomeno ed a dire “Io sono voi, voi siete me”.Siamo uguali.
L’altro aspetto che disturba nel leggere l’estratto sugli anni ‘60 riguarda l’emigrazione.
Intanto l’approccio alle problematiche sociali non può fondarsi su percezioni epidermiche e banalizzazioni da marciapiede. Colpisce sgradevolmente la modalità di narrazione del dramma dell’emigrazione: una gara fra donne sanguisughe e vanitose che spingevano i mariti in Germania per superare le comari nella costruzione e nell’arredamento delle case. Una visione francamente misogina che fa strage delle sofferenze e delle umiliazioni a cui venivano sottoposte le vedove bianche, che ignora lo strazio del logoramento dei rapporti sentimentali, che cela il dramma di bambini che crescono senza il sostegno affettivo della figura paterna. Una rappresentazione grottesca dell’emigrazione. Nessun tentativo- salvo che esso sia contenuto all’interno del libro- di indagare le responsabilità politiche di chi ha concepito il meridione come riserva di manodopera a buon mercato per aiutare lo sviluppo del nord Italia prima, del nord Europa dopo. Non uno sforzo per spiegarsi le condizioni di povertà ed arretratezza in cui le classi dirigenti- o dominanti?- meridionali tenevano, e tengono, le loro popolazioni. Dice niente al nostro autore il fatto che negli ultimi tempi 20 mila giovani ogni anno lasciano la Sicilia? .Gli sfiora la mente che molti di essi sono magari giovani che vogliono sfuggire ai condizionamenti mafiosi del potere, che ricorre al clientelismo come forma di “pizzo” politico, per asservire le loro coscienze?
Un occhio superficiale che vede le questioni col metro del moralismo può ritenere che la vittima non può essere complice del suo carnefice; ma se il carnefice ti tiene un coltello puntato sul collo come fai a ribellarti?
Fuori di metafora, più aumenta lo stato di bisogno e meno garanzie legali si hanno- ed è quello che hanno fatto le classi dirigenti da sempre in Sicilia, ed ora sta avvenendo a livello globale- più facile diventa per la mafia criminale e politica, per il potere, essere arrogante e prepotente.Eppure…..Eppure c’è chi si ribella, anche qui, anche a Raffadali. E allora, per favore, niente coppola sulla testa di tutti, neanche per ischerzo. I non mafiosi vogliono continuare a tenere la testa alta e sgombra di coppole e berretti.
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1 commento:
CONCORDO PROF!
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