domenica 21 novembre 2010

"Siamo tutti mafiosi". Il libro di Pasquale Faseli


Brano tratto dal libro “Siamo tutti mafiosi” di Pasquale Faseli, edito da Sangel Edizioni

Dal capitolo “Anni sessanta”

Si aprì l'emigrazione. Chi partiva per il nord, chi per il Belgio, qualcuno in Australia o in Canada, ma la maggioranza emigrava in Germania. Da quel momento il termine germanisi fu adottato per indicare qualunque emigrato all'estero. Partivano gli uomini, lasciando al paese moglie e figli e creando uno strano paradosso: io ti amo, tu mi ami, e ci sposiamo; poi io rimango in paese a fare la signora e tu vai in Germania a fare il cane. Buona come prospettiva, ma non fu né prospettiva né dagherrotipo, fu la realtà per trent'anni.
Baracche tedesche, tuguri peggiori di quelli che lasciavano in paese; e poi le ore dall'uscita dal lavoro e fino all'ultimo secondo prima di addormentarsi, e le domeniche, e quei maledetti sabati con le fabbriche chiuse.

Ore che formavano giorni, e giorni che formavano mesi, persi a pensare giù, un po' più giù, così, un po' a destra, lì in quel puntino, lì c'è il mio paese, la mia famiglia, mia moglie, bruna con gli occhi grandi e belli, mia figlia Antonina, Ninitteddra, piccola di sei mesi, no di un anno, mio figlio Domenico che ora ha due anni e mezzo; perché li hai lasciati là? perché non li hai portati qui? che matrimonio è mai questo? il matrimonio si vive in due, quando lavori non ci pensi, stai lavorando e anche se la tua famiglia è qui non la puoi vedere e toccare lo stesso…

Ma quando non lavori che minchia fai? Dove vai? Con chi parli? Non sai la lingua, ma anche se la conoscessi con chi parli, con i tedeschi, e che gliene frega di te ai tedeschi? E se vai a parlare con quelli emigrati come te ti viene ancora di più un groppo alla gola; tu magari vuoi distrarti e quelli ti parlano di Aragona, Cianciana, Favara, Raffadali, Siculiana, e tu ti senti morire dentro, pensi alle contrade, all'odore di fieno, al ramoscello di sulla che mettevi in bocca come fosse un sigaro svizzero, pensi che è domenica e stai a far niente e potresti invece portare tuo figlio a spasso, fargli una carezza, insegnargli ad andare sulla mula, potresti andare in piazza a prendere un gelato, o al bar Le Cuspidi che hanno appena aperto fuori paese.

E invece sei qua da solo e i tuoi figli crescono senza di te, tua moglie dorme nel letto grande senza di te, magari sospira, allarga le gambe, tocca dalla tua parte e non ti trova, e di giorno va per il paese a fare acquisti con i soldi che le mandi, va dal parrucchiere, si fa bella, si mette il vestito nuovo e va a messa, e tu non la vedi, non vedi neppure gli altri mentre la guardano quando passa dalla piazza: Concetta Marchica, moglie di Salvatore Marchica emigrato in Germania; bella donna, sensuale, si farebbe subito subito almeno quattro scopate, ché sarà un anno che lui non torna; maledetto governo che mi fa stare in questo posto di merda!

L'edilizia esplose, l'assistenzialismo invece muoveva i primi passi. Gli emigrati pompavano marchi come forsennati; in Germania spendevano il meno possibile, mangiando persino le scatolette per i cani: per la vita che facevano era già un bel mangiare. In paese, frattanto, le loro mogli gettavano le fondamenta della casa, poi altri vaglia, e alzavano i muri, altri vaglia e su la prima soletta, poi un'altra soletta, e poi un'altra…

Al tetto non si arrivava mai: un piano per noi, un piano per il figlio, un piano per la figlia, un altro piano per l'altra figlia, e un altro piano, non si sa mai, se dovesse nascere il quarto. Tanto il povero Cristo a fare il cane in Germania si era abituato subito. Arrivavano lettere strazianti: “Marito mio, sposo mio, la moglie di Pietro Pisciaporti, che si trova in Germania come te, ha rifinito la casa con le ceramiche modello lusso e ha persino messo la rubinetteria placcata d'oro. Che faccio metto anch'io la ceramica lussuosa? Per la rubinetteria aspettiamo che calano i prezzi perché dicono che prima o poi tutti gli emigrati la metteranno placcata d'oro come la moglie di Pisciaporti, e così, nella massa, i prezzi scenderanno. Che faccio, aspetto il vaglia o comincio con quelli che mi hai detto di mettere da parte nel caso ti volessi ritirare in paese? Per il resto i bambini stanno bene, io sto bene, tua madre sta bene, stiamo tutti bene. E tu come stai? Quatalati, non prendere freddo. (Traduzione: Non t'ammalare se no come facciamo a finire la casa!). Sono e mi firmo la tua sposa Assuntina che sempre ti pensa e mai ti dimentica”.


Duemilacinquecento emigrati maschi su un totale di tredicimila abitanti. Praticamente più di metà della popolazione aveva almeno un congiunto all'estero. I maschi rimasti in paese scialavano. Scialavano i figli degli emigrati che bighellonavano per il corso facendo di mestiere gli studenti, alcuni a tempo perso. Scialavano i lagnusi che non erano voluti partire e che si ritrovarono, senza muovere un dito, l'America sotto casa. E questo per un elementare aforisma antropologico che è giocoforza accennare.


Inizialmente il fenomeno migratorio interessò solo le classi povere, quelle dei giornatai, che non avevano terra e, se qualcuno l'aveva, era luppinu, terra argillosa che a cavarle un po’ di grano era un vero miracolo.
Nel giro di pochi anni le mogli di questi poveri, con i marchi che arrivavano dalla Germania, cominciarono prima a comprare lotti di terra edificabili o non edificabili, che tanto era uguale per via dell’abusivismo, e poi a costruire. Dal quartiere Canale, piano piano, si trasferirono nelle nuove periferie, in case di cemento armato con due e tre piani, un appartamento a piano. E man mano che passavano gli anni e i decenni, rifinivano gli appartamenti e li facevano vedere a tutti. Le mogli dei burgisi, anche di quelli ricchi, cominciavano a scalpitare di rabbia, l'invidia le prendeva alla gola tanto da sentirsi soffocare. E in casa facevano l'inferno. Se prima i prodotti della terra, la terra nera che si zappava con i piedi, bastavano per condurre una vita al di sopra della media, con l'arrivo dei marchi la terra nera svalutò perché i suoi prodotti non bastavano più alle donne dei proprietari terrieri.

Non si poteva tollerare che la moglie di un Pisciaporti, di un Cola Firruzza, di un Giummarraru qualsiasi andasse a vivere in una casa lussuosa mentre la moglie di un don La Rizza, di un don Cuffaro, di un don Randisi, vivesse ancora nelle due o tre camere con relativi catoi, con i pavimenti in conglomerato di scaglia di marmo. Che facevano pena a confronto del granito, della ceramica monocottura, o del gres di granito vestito, delle case degli ex poveri. Le mogli dei ricchi, divenuti poveri per la teoria della relatività di Einstein, insorsero in massa e vinsero. I ricchi burgisi da quella Caporetto non si risollevarono più e il loro destino fu segnato per sempre: schiavi della cultura delle donne per il resto dei loro giorni. Trent'anni di solitudine in Germania li attendevano, trent'anni di galera, trent'anni da Ivàn Denìsovic, alias Aleksandr Isàevic Solzenicyn.

Non tutti subirono lo stesso destino. C'erano, ad esempio, i lagnusi, quelli che neppure con la pistola puntata alla tempia li avresti costretti a lavorare. Questi si ritrovarono ben presto a gestire, insieme agli altri rimasti in paese, l'enorme flusso di denaro che arrivava dall'estero. Chi si mise a vendere ceramica, laterizi, cemento, tondini di ferro, chi faceva speculazioni edilizie, frazionando terreni acquistati in blocco per rivenderli a fazzoletti agli emigrati e a prezzi dieci, venti volte superiore. E c’era chi stava a far niente aspettando il posto statale, che prima o poi arrivava.
Il meccanismo perverso creato dalle donne delineò ben presto una geografia economica paradossale. Nessuno produceva; i terreni, anche i migliori, erano abbandonati, eppure tutti erano ricchi. Attraverso l'ufficio postale e le banche, fiumi di denaro si riversavano in tutte le tasche: oltre ai marchi arrivavano anche le lire dell'assistenzialismo. I giovani crescevano in un mondo che premiava i fannulloni rimasti in paese, e in quel clima maturava una consapevolezza: a ciascuno il suo, ma a noi di più!"


Copyright 2010-2011 Sangel Edizioni
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1 commento:

Anonimo ha detto...

Condivisibile...tranne il fatto che quei "lagnusi" di cui parla Lei, rivenditori di ceramiche, tondini di ferro ecc.sono le persone più "massare" che io abbia mai conosciuto...
Francesco Romano
p.s. Ciao Tanù...un abbraccio!