di Agostino Spataro
Dal laboratorio politico siciliano è uscito un nuovo prototipo: lo scudo morale.
E così, dopo gli scudi “umano”, “spaziale”, “fiscale”, ecco arrivare questo nuovo prodotto destinato al mercato della (anti)politica, anche a rischio di screditare le istituzioni d’appartenenza di coloro che, anche in buona fede, si prestano al gioco.
L’ha inventato il presidente della Regione, on. Raffaele Lombardo, per difendersi dagli attacchi dei suoi tanti avversari e per meglio affrontare la tempestosa navigazione del suo quarto governo e la grave vicenda giudiziaria che lo sovrasta.
Lo scudo morale del governatore è questa giunta di “tecnici” prestati (d)alla politica, fra i quali spiccano alcuni apprezzati servitori dello Stato e precisamente due magistrati e un ex prefetto.
Senza nulla togliere agli altri assessori, non c’è dubbio che queste tre presenze costituiscono il nucleo duro dello “scudo” siciliano.
Sono, infatti, questi tre assessori, con le loro qualifiche ed esperienze professionali e retaggi familiari, a mettere -come si suole dire- il governatore in una botte di ferro.
Anche se, a ben guardarlo, lo scudo siciliano, per quanto smagliante di luce alchemica, non appare così irresistibile.
Infatti, è il risultato di un illusorio gioco di specchi nei quali si riflettono, mischiandosi, opposti profili.
Lo potremmo definire un “gioco degli opposti funzionali”, un incantesimo per spiriti semplici (qualcuno si è già lasciato attirare) che potrebbe avere vita breve ed effimera. Intanto, però, fa comodo a tanti attori politici i quali, per calcolo e/o per mera ipocrisia, se ne servono per non esprimere un giudizio di merito su Lombardo indagato.
L’aggiramento continua anche dopo che il governatore ha presentato al pubblico la sua legittima autodifesa.
Evidentemente, i suoi stessi alleati (dai finiani al PD) l’avranno ritenuta poco convincente visto che mantengono sospeso il giudizio di fondo e continuano ad aggrapparsi allo “scudo” suddetto per non dover troncare la collaborazione politica e provocare lo scioglimento anticipato dell’ARS.
A causa di tale persistente ambiguità, nel PD è scoppiato lo scontro politico interno. Com’era prevedibile, e previsto, secondo il programma di destrutturazione dei partiti portato avanti da Lombardo. Con qualche successo, dobbiamo ammettere.
Comunque sia, una controversia salutare quella che scuote il PD. Certamente, un buon segno a conferma delle sensibilità morali che animano la base di questo partito.
Perciò, da Bersani a scendere, nessuno se la sente di mettere la mano sul fuoco.
Si pensa di aggirare il problema invocando i nomi dei sopracitati assessori la cui presenza in giunta, per se stessa, dovrebbe garantire l’estraneità di Lombardo ai fatti indicati nell’inchiesta della procura catanese.
Una ben strana teoria che evidenzia da un lato una mancanza di assunzione diretta di giudizio e di responsabilità e dall’altro lato vorrebbe scaricare sui tre assessori l’onere dell’eventuale errore di valutazione.
Secondo tale bizzarro ragionamento, Lombardo, al momento, risulterebbe estraneo ai fatti addebitatigli non perché lo dica la magistratura inquirente, ma per effetto di una specie di proprietà transitiva che trasferisce su di lui l’irreprensibilità professionale e morale dei suoi tre citati assessori.
Insomma, lo scudo sembra funzionare come strumento di tergiversazione politica e- credo- funzionerà almeno fino al 14 dicembre e oltre, secondo l’evoluzione della crisi romana.
Vedremo.
Intanto, sarebbe interessante capire cosa pensino i membri della giunta regionale di questo pandemonio che si sta svolgendo sopra e intorno alle loro rispettabili persone.
Anche se non eletti dal popolo, gli assessori non sono figure a sovranità limitata e nemmeno sopramobili da esporre nel salotto buono di Palazzo d’Orleans quando arrivano i giornali e le televisioni.
I siciliani hanno il diritto di conoscere il loro punto di vista e le relative motivazioni sulla questione morale e in generale sulla vicenda politica regionale oltre che sui loro intendimenti sul piano dell’azione di governo.
A cominciare, per esempio, dalla valanga di nomine di manager e dirigenti effettuate per meriti “di partito” e/o per mere aspettative elettorali/clientelari, altezzosamente rivendicate dal governatore. Che cosa è cambiato rispetto al recente passato? E’ forse questa la buona amministrazione promessa ai siciliani?
Per altro, c’è da notare che, al di là delle singole individualità, sta emergendo un nuovo problema politico: quello del “tecnicismo”, storicamente, rivelatosi la forma più subdola del politicismo.
Nel caso della Sicilia sta ingenerando una condizione politica anomala, imprevedibile, paralizzante. Le conseguenze dell’immobilismo sono devastanti.
Questa non è politica, ma un gioco di cabala. E’ urgente una vera svolta. Necessitano nuove regole di trasparenza e di legalità, anche sul terreno elettorale, idee e programmi innovativi e, soprattutto, una nuova classe dirigente. Nonostante tutto, si può fare. Facendo appello alla voce della coscienza dei siciliani onesti, compresi alcuni che stanno in questa giunta, poiché - come scrive Josè Narosky- “la voce della coscienza è debole ma invincibile”.
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