giovedì 6 gennaio 2011
Palestina: morire per il muro: Jawaher e il villaggio di Bil'in
Di Francesca Mastracci x AdEst
Lo sapevate che a Bil'in, un villaggio palestinese poco lontano daRamallah, ogni venerdì si tiene una manifestazione contro il muro di separazione costruito dal governo israeliano? E sapevate che venerdì scorso, l'ultimo giorno dell'anno, Jawaher Abu Rhamah, una donna di 36anni residente a Bil'in, ha perso la vita? Di questo in Italia la maggior parte dei media non fa neanche un cenno. Secondo gli organizzatori della protesta Jawaher avrebbe inalato troppi gas lacrimogeni sparati dai soldati israeliani che presidiavano la zona del muro. E' stata trasportata a Ramallah ed è morta all'ospedale per asfissia il primo gennaio 2011. Personalmente prima di qualche settimana fa ignoravo la protesta di Bil'in, che si ripete dal gennaio del 2005. Non solo resistenza non violenta, ma azioni legali a livello internazionale. Il Comitato Popolare Contro il Muro di Bilin, guidato da Abdullah Abu Rahma (ora detenuto nelle carceri israeliane), ha anche fatto appello alla Corte Suprema Israeliana. Questa stessa nel 2007 ha stabilito che il percorso del muro è illegale e che quindi il governo israeliano deve spostare i confini, che attraversano proprio i campi e gli uliveti del villaggio. Il muro, però, è stato costruito per la “sicurezza” del blocco di colonie israeliane di Modi’in Illit, che sono a partire dagli anni '90 sulle terre confiscate a Bil'in. In virtù di questa sicurezza, in barba alle leggi che regolano il diritto internazionale e interno, il tracciato del muro non viene ridimensionato, anzi il villaggio vive costantemente sotto le vessazioni delle vicine colonie.Io sono arrivata lì grazie a Luisa Morgantini, ex vicepresidente del parlamento europeo, che da anni è schierata a fianco dei palestinesi nel percorso di pacificazione e insieme con AssoPace, organizza dei viaggi di conoscenza in Israele e Palestina. La verità è che non ho mai visto una realtà così lontana da quello che ci mostrano in televisione. Niente sassi, ma musica e bandiere, tanta voglia di resistere e di rivendicare il diritto a vivere. Il 31 dicembre c'erano gli organizzatori del Comitato Popolare Contro il Muro, c'erano i bambini con le mascherine che coprivano naso e bocca per mitigare l'effetto dei lacrimogeni, c'erano gli anziani che camminavano sotto la pioggia, i giovani della resistenza non violenta palestinese e israeliana, c'eravamo noi italiani entusiasti di poter dare una mano, la band dei Fiati Sprecati che allietava il corteo con la musica, c'era persino il primo ministro Palestinese Salam Fayad e in mezzo a quella folla c'era Jawaher. Jawhaer che ogni venerdì andava in manifestazione con le donne diBil'in e con sua madre. Jawaher che tutti a Bil'in conoscevano estimavano. Jawaher la sorella di Bassem, morto nell'aprile del 2009,colpito all'addome da un lacrimogeno sparato dai soldati israeliani. Le vite di due fratelli spezzate e una madre distrutta. I gas non sono blandi come nelle manifestazioni di qui, si espandono nell'aria e tientrano nei polmoni. Quando il corteo si è avvicinato alla strada del muro i soldati hanno iniziato a sparare bombe suono e lacrimogeni, che rimbalzavano tra le piante di ulivo, mentre il gas salva fino a un centinaio di metri di distanza. Ho visto persone vomitare, tossire gas, adulti lacrimare, bambini con gli occhi gonfi e le mamme che li asciugavano con salviettine umidificate. Le persone però non si sono arrese e hanno continuato ad avanzare con le bandiere in mano, finchè alcuni ragazzi non sono riusciti a tagliare con le pinze la recinzione vicino almuro, riportandola a monte come un trofeo. Io che ero arrivata con i miei compagni di viaggio aggirando un checkpoint, camminando attraverso gli uliveti, con l'illusione di essere come mio nonno durante la seconda guerra mondiale, non mi ero accorta con le mie scarpe da trekking semi nuove di come si può morire dopo anni di manifestazioni, anni che riempiono la tua vita di lacrime,causate dall'oppressione e non solo dai lacrimogeni. Eppure a Bil'in sono stata accolta da persone che mi hanno sempre sorriso e mi hanno ringraziato di essere arrivata dall'Italia per supportare la loro resistenza non violenta.Il giorno dopo ci hanno dato la notizia della morte di Jawaher. Io non l'ho conosciuta, Luisa Morgantini la conosceva bene, quindi appena è riuscita è tornata al villaggio per parlare con la sua famiglia. Io,in ogni caso, non potò mai più dimenticare Jawaher, Bil'in e i suoi abitanti. Scrivo per chi, come me non conosceva la loro situazione e perchè nessuno dimentichi che tutti i giorni lì si continua a resistere per esistere, motto mai così vero da quelle parti.
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