Ha un nome il diavolo. Si chiama Germano Nicolini. Ha una storia lunga, più dei 91 anni che l’accompagnano. La storia di un ragazzino che sceglie di fare il partigiano, che combatte e che si guadagna il nome di battaglia di “diavolo”. Un uomo che da Sindaco del Pci di Correggio finisce in galera per un delitto che non ha commesso, perché forse aveva due difetti: troppo cattolico per i comunisti e troppo comunista per i cattolici. Un diavolo che non finisce mai di combattere per riconquistare la dignità sua e quella degli ideali in cui crede, un diavolo che dovrà aspettare 50 anni per un assoluzione definitiva. Un diavolo per il potere che più o meno occultamente si è diviso il paese negli ultimi 60 anni e che ha cercato di stritolarlo, senza riuscirci.
Un diavolo che si alza, si pone davanti ad un ragazzo, il suo sguardo scivola verso le sue mani, le vede piegate dall’età, prende le mani del ragazzo e dice quasi senza parlare “le mie sono le mani della volontà, le tue quelle della militanza, ma insieme dobbiamo essere orgogliosi della nostra vita e dei nostri simboli. Avremo successo, come lo hanno sempre, prima o poi, le cose giuste”. Poi si gira e va via. Passi sicuri, di chi sa sempre quale strada prendere. Mentre si perde tra la folla, penso.
Ho incontrato il diavolo questa mattina a Reggio Emilia e non ne ho avuto paura, perché il “diavolo” in questo paese di sepolcri imbiancati può fare paura solo al “potere”.
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