mercoledì 23 marzo 2011

Sulla Libia..

di Maria Elena Scavariello
Questa guerra non può essere definita in altro mondo, se non come l'ennesima guerra imperialista. Lenin sosteneva che l'imperialismo è la fase suprema del capitalismo
avanzato, che si attua attraverso la strategia di ripartizione geografica della terra, tra le più grandi potenze capitaliste, finalizzata alla concentrazione degli strumenti di produzione e del capitale nelle mani di pochi gruppi d' interesse monopolistico.
Sono innumerevoli i fattori che, oggi, ci aiutano a trovare una sostanziale identificazione tra ciò che è successo in libia nel 1911, quando di colonialismo si poteva parlare alla luce del sole, e ciò che nel 2011, a cent'anni di distanza, accade in questo paese.La Libia la conquisto Giolitti nel 1911, fu così che divenne colonia italiana, poi e la pacificò Mussolini nel primo dopoguerra, uccidendo Omar Al Mukhtar, leader della resistenza anticoloniale italiana negli anni venti.
E come spesso si usa dire, Gli anni passano, i governi e lo scenario politico mutano e si trasformano, ma le motivazioni che animano gli interventi militari, sembrano drammaticamente rimanere invariate, perchè sempre legate ad interessi strategici, economici e geopolitici.
Gli Stati Uniti insieme alla Francia, alla Gran Bretagna e all'Italia stano tentando, anche questa volta, come accadde per i Balcani, per l'Afghanistan e per l'Iraq, di nascondere le loro vocazioni neocoloniali e imperialiste con l'utilizzo della retorica dei diritti umani, dell'intervento necessario per la garanzia e la tutela della pace e della sicurezza internazionale.Così ai nostri occhi si apre l'esatta riproposizione di ciò che accadde in Serbia, l'aggressione criminale della Nato, a colpi di uranio impoverito, di migliaia di innocenti, in nome della democrazia.E mentre i grandi signori della libertà, della democrazia e dei diritti si apprestano a salvare l'ennesimo popolo oppresso, nessuno, nella comunità internazionale, si impegna a contrastare, ne ad evidenziare quanto la
risoluzione 1973 delle Nazioni Unite sia fortemente in contrasto con il diritto internazionale generale e con la stessa Carta delle Nazioni Unite, permettendo l'utilizzo strumentale ed opportunistico dello consiglio di sicurezza dell ONU.Art. 2 dalla Carta delle Nazioni Unite al suo settimo comma stabilisce che " nessuna disposizione del presente statuto autorizza le nazioni unite ad intervenire in questioni che appartengono alla competenza interna di uno
stato"
.
Quella del "popolo libico'' non è una rivolta, ma una vera e propria ''guerra civile'' che vede schierati da una parete, i sostenitori di Gheddafi e dall'altra quelli di Bengasi, tra questi si devono annoverare numerosi esponenti del vecchio apparto di regine del raìs, come il presidente ed ex
ministro della giustizia Mustafa Abdel Jalil, l'ex ministro degli interni, il generale Abdul Fattah Younes, l'ex ambasciatore presso la lega araba e l'ambasciatore presso l' ONU, che fino a febbraio avevano sostenuto e partecipato alle manovre di repressione della rivolta.Una guerra civile quindi, utilizzata dai governi e dalle multinazionali europee e statunitensi per accaparrarsi risorse energetiche indispensabili e preziose, soprattutto in una fase di profonda crisi economica internazionale, prendendosi gioco del divieto di ingerenza negli affari interni di uno stato,
sancito dal diritto internazionale.E sempre il diritto internazionale, prevede che il consiglio di sicurezza dell' ONU possa autorizzare l'uso della forza solo dopo aver accertato la
sussistenza di una reale minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale oppure in seguito ad un atto di aggressione di uno stato nei confronti di un
altro.Nessuna di queste ipotesi, può ricollegarsi al caso libico, poichè sembra ovvio che la ''guerra civile'' interna alla Libia, non rappresenti una
minaccia ne per la pace ne per la sicurezza internazionale.Dunque anche questa verità, si trasforma in un ulteriore elemento a sostegno della tesi che vede nella reazione militare di Usa-Francia-Inghilterra e Italia un atto criminale, che infrange il diritto internazionale, mosso solo da scopi politico-economici.Tutto rimane invariato nella strategia egemonica degli Stati Uniti, la convinzione che il nuovo presidente, a cui è stato addirittura consegnato il Nobel per la pace, potesse cambiare il volto della super potenza militare statunitense oggi viene smentita nei fatti e nelle pratiche, non solo dall'utilizzo di maggiori risorse economiche destinate al budget militare 680 milioni di dollari, contro i 650 del precedente governo Bush, ma anche dalla continuità della guerra in Afghanistan, a cui oggi si aggiunge la nuova ''guerra giusta'' di Libia.Se è questa la difesa dei diritti, fatta da pacifisti guerrafondai a colpi di uranio umanitario, non ci rimane che sperare che la Libia possa ritrovare il suo Omar al-Mukhtar e resistere ancora, dopo cent'anni, al neocolonialismo
occidentale.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Niente di nuovo sotto il sole. E' sempre la solita storia: più il capitalismo è in crisi di sovrapproduzione più ha bisogno di distruggere, sempre in casa altrui, per rigenerarsi e fare ripartire la sua economia. Le ipocrisie e le falsità dei suoi mass media forse cominciano a non incantare più, specie dopo la bufala delle armi di distruzion di massa in Iraq.
Per chi volesse sapere perchè scoppieranno le guerre nei prossimi decenni si legga "Project for the new American Century"- scaricabile da Google anche in italiano- scritto non dal sovversivo Lenin, ma dall'intellighenzia americana di cui sono stati interpreti Bush, Wolfowitz, Rumsfield &Co.
La differenza fra costoro e Obama è che quelli volevano agire da soli, questo cerca la complicità dei suoi alleati portatori di civiltà e democrazia.
Questi civilizzatori hanno cosparo il mondo di guerre e focolai di terrorismo.
Chissà che mondo lasceremo ai posteri per la follia dello sviluppismo indefinito?
vincenzo