sabato 21 aprile 2012

La dignità del lavoro e dei lavoratori.


di Michelangelo La Rocca
Il lavoro,giustamente individuato dal Costituente come valore fondante della Repubblica Italiana, insieme alla grave crisi finanziaria ed economica che attaglia l’Italia e gran parte della vecchia Europa, è stato ed è il tema di cui più si discute in questo momento travagliato della nostra storia.Si discute del lavoro che non c’è :la disoccupazione ha toccato percentuali altissime specie tra i giovani ed in particolare nel nostro Sud.
Si dibatte anche della qualità del lavoro: quello flessibile e precario, privo di dignità e che nega il futuro alle nuove generazioni, rischia di diventare l’insanabile e purulenta piaga del nuovo millennio.Si parla,e da tempo,della riforma dello statuto dei lavoratori, vera pietra miliare lungo il percorso accidentato ma esaltante che i lavoratori hanno dovuto compiere per la loro emancipazione ed il loro riscatto negli indimenticabili anni sessanta e settanta dello millennio appena trascorso.
Sono passati quasi quarantenni da quando nel maggio del 1970 vide la luce la legge n.300 del 20-5-1970 ( il c.d. statuto dei lavoratori) ma, se si guarda alla stagione delle rivendicazioni e della conquista dei diritti dei lavoratori, sembra essere passato più di un secolo: all’incontrario però!Non perché, infatti, lo statuto dei lavoratori sembra superato ed antiquato, al contrario pare essere diventato un frutto proibito, un lusso che non possiamo più consentirci.
Ma è proprio così?
Ha fatto e fa in particolare discutere l’art.18 dello statuto dei lavoratori che da qualcuno, soprattutto dalla destra economica e dalla confindustria, è stato additato come la causa frenante dello sviluppo economico od addirittura come il principale ostacolo ad una maggiore e migliore occupazione! Ma cosa dice questo articolo dello scandalo? Esattamente questo, solo questo: “il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro”. Norma, come si vede, di assoluta e lineare civiltà giuridica che non può non trovare il suo giusto posto nell’ordinamento di uno Stato che voglia essere moderno e civile.
Un lavoratore non può e non deve essere lasciato in balia del arbitrio del datore di lavoro, ma deve avere la certezza che può essere licenziato solo e soltanto in presenza di una giusta causa o di in un giustificato motivo altrimenti è condannato a perdere la sua dignità di uomo, di persona. Senza la deterrenza del baluardo dell’art.18 il lavoratore è destinato a vivere nella più assoluta schiavitù del bisogno ed è costretto a rinunciare alla sua libertà, quella libertà, non scordiamocelo, che distingue l’uomo dagli altri esseri del regno animale. Per questo, e soprattutto per questo, avremmo preferito che i sindacati uniti e tutti i partiti riformisti e di sinistra avessero difeso in modo compatto l’assoluta ”immodificabilità” dell’art. 18. Così non è stato e sembra che così non sarà neanche in futuro.
Va dato atto al P.D. , al tanto vituperato P.D., che in questo passaggio epocale della nostra stagione sociale ed economica non ha perso il collegamento con il mondo di lavoro ed ha saputo difendere, sembra con successo, almeno il principio dei reintegro lasciando che sul diritto al reintegro a pronunciarsi sia il giudice.Forse non è molto, ma in certi frangenti bisogna sapersi accontentare: il principio, almeno il principio,è salvo!
Il resto, tutto il resto, dobbiamo conquistarcelo con la lotta vigile e costante di ogni giorno, di ogni giorno dei prossimi mesi e di tutti i mesi dei prossimi anni.
E questo primo maggio 2012 deve essere la prima battagliera tappa di questo esaltante percorso di lotta!

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