domenica 6 gennaio 2013

Figli di un Dio molto piccolo


Di Gaetano Alessi
Apprendo dal mondo internet che noi ci saremmo “venduti”. Ne prendo atto. Vogliate però avere la cortesia di dirci a chi così gli mandiamo la fattura! A parte le ridicole e i ridicoli ammantati di anonimato che lasciano il tempo che trovano, non si fatica a percepire un senso di giusta disillusione e di castrata speranza nei confronti dell’esperienza Di Benedetto a soli pochi mesi dalla sua elezione. Tasse che aumentano, maggioranza politica inesistente (quella numerica è un'altra cosa), entusiasmo ai minimi termini.  Chi scrive ha apertamente criticato tutta la gestione politica delle amministrative del 2012, la scelta di non fare le “primarie” e di perdere un bel pezzo del pensiero di sinistra del paese, una coalizione puramente “numerica” ma di nessun respiro e anzi con qualche bel “Caino” incorporato che ha tolto quel tasso di credibilità che ti serve quando devi chiedere sacrifici alla gente. Poi ho votato Di Benedetto, semplicemente perché era nelle cose. Ma il punto è un altro: che si dovessero chiedere sacrifici era nelle cose. Era nel programma di chi ha vinto. Era scritto in un decennio di governo debosciato e subdolo. L’errore, ed è tutto del sindaco Di Benedetto, è di aver voluto prolungare la campagna elettorale fino alle regionali di ottobre che sono finite con la sua mancata elezione (caro Giacomo senza Partito non si va da nessuna parte) e con l’aumento di tutte le aliquote il giorno dopo. Un’operazione politica alla “Lombardo”. Fallita. Ma questo non toglie che l’aumento delle tasse ci sta tutto. Era da fare perché il buco lasciato dai barbari era così ampio che bisognava intervenire con coraggio subito per avere la possibilità, tra uno o due anni, di poter ricominciare a programmare il paese che abbiamo sognato. E bisognava dirlo, come hanno fatto gli assessori Pedalino e Sciarratta, senza nascondersi, senza indugiare, a costo di sembrare impopolari. Ma chi governa, prima di ogni cosa, ha il dovere di non prendere in giro le persone. Ha il dovere di essere sincero e franco perché se non s’interviene ora si va verso il “fallimento” dell’ente comune, con quello che ne consegue.  E la gente lo capisce, altrimenti sarebbe inspiegabile che gli attacchi vengano solo da “anonimi” e da una minoranza consiliare che dovrebbe avere la dignità di andare a nascondersi a “iazzu vecchiu” e di restarci per tanti anni. Che faccia!! Danno fuoco alla casa e poi sputano sui pompieri!. Ma la cosa più triste è che si attaccano alla stagione del “Villaggio della Gioventù” come se fosse quella, e non i loro sperperi, la causa di tutti i mali. Come se la “Cultura” non avesse garantito in questi sei mesi le uniche entrate in termini economici (per gli esercenti) e di visibilità di Raffadali. Ma è vecchia come il mondo la ritrosia dei mestieranti della politica nei confronti della “cultura”; come anche l’atteggiamento di vedere nei suoi promotori e nei suoi fruitori un covo di debosciati da smantellare e abbattere. Perché essa tende a instaurare quel senso di comunità diffusa che è il peggior nemico della politica fatta di parole, minacce e clientele su cui si sono retti due lustri di destra. L’arte dell’intimidazione, la paura del confronto, questo è il campo di battaglia di chi oggi attacca un esperienza (imperfetta) come quella di Di Benedetto che però ha immediatamente posto dei paletti chiari: coraggio, solidarietà e cultura. Il coraggio delle scelte difficili ma necessarie per bonificare e programmare, la solidarietà nel non abbandonare nessuno e chiedere a tutti i sacrifici necessari (non solo ai nemici come negli ultimi 10 anni) e la cultura come cardine per “ricreare” un paese dalle macerie. Dall’altra parte chi attacca, 8 volte su 10, è anonimo e questo la dice lunga sulle bontà delle loro motivazioni. Di Benedetto si sgravi da dosso la delusione delle “regionali”, crei una maggioranza non solo numerica ma anche politica, cancelli idee balzane come quella della “cabina” di regia e si affidi ai suoi giovani e soprattutto sia sincero con i cittadini. La gente ama la sincerità. La strada è lunga ma quando dentro il “palazzo” ci sono tanti scontenti vuol dire che è quella giusta. Ultime due note. Le elezioni regionali hanno sancito che a Raffadali non ci sono più potentati. Ridicoli i risultati di Di Mauro e dell’Mpa (che partiva dai 1000 voti delle comunali) così come quelli dell’Udc (magari se la smettessero di farsi ricorsi reciproci e pensassero a far politica sarebbe meglio) e dei Cuffariani che puntavano su Gramaglia. Franco La Porta in solitaria vale quanti tutti loro. Dignitose le prestazioni di Giusi Mangione e Antonino Vizzì mentre sparisce la sinistra alternativa. Nelle regionali del 2001, con Aldo Virone candidato, Rifondazione Comunista era il primo partito di Raffadali con il 18%. Undici anni dopo tutta la sinistra raccoglie 66 voti. Probabilmente i protagonisti di quella stagione non erano da consegnare alla storia con tanta leggerezza.  Ma il dato che fa più impressione è quello dell’astensionismo. Un raffadalese su due non si è recato alle urne. Inquietante che in un paese che cerca di rimettersi in piedi la scelta della classe dirigente venga delegata agli altri. Questo è il punto e la sfida di tutta la classe politica del nostro comune. Far tornare la gente a partecipare. Altrimenti la prossima volta sarà il deserto e sarebbe quella la sconfitta più grande, non per chi amministra ma per tutti noi.


 “Sognatore è colui che vede la sua via alla luce della luna..punito perché vede l'alba prima degli altri..”

Nessun commento: