“Sai…scriverti una lettera, non è una cosa
facile”.
Nomadi…sempre Nomadi a cadenzare gli attimi della nostra esistenza.
Già i Nomadi.
Per chi ancora non lo sapesse, da loro è nato tutto. Meglio. Da un loro pezzo.
Perso nel flusso di questi giorni piatti la memoria m’accompagna indietro nel
tempo. In anni brutti, come questi.
Ad un risveglio da lustri di speranze e sogni naufragati su uno scoglio dalla
forma sferica che portava stampato il faccione di Salvatore Cuffaro n’tiso
Totò. Era il 2002.
Una sconfitta pesante aveva portato i “rossi” fuori del governo della città
dopo 50 anni e in particolare aveva portato con se una buona parte
dell’ingenuità che fino ad allora aveva ispirato il cammino di un gruppo di
persone.
Persi, disorganizzati, quasi inerti davanti allo spettacolo triste di un popolo
che aveva cambiato padrone senza alcun motivo logico.
Smarriti nel vedere usurai, mafiosi, puttanieri e affini sedere da “re” in
quelle sale che avevano respirato atmosfere partigiane fino a pochi anni prima.
Stasi.
Un anno lungo quanto un secolo.
Poi i Nomadi, un audio casetta, “Contro” s’intitolava.
Una donna splendida che ti dice “fate” e quel pezzo, “Ad Est”.
“Ad est, ad est adesso si va, ad est, ad est là dove nasce il sole, ad est, ad
est ritroverò la vita, ad est, ad est perché non è finita”.
La decisione durò lo spazio di una notte. Quel “Non è finita” rimbombava nella
testa.
Una telefonata e una visita l’indomani mattina.
Febbraio del 2003 il primo numero di Ad Est.
Brutto graficamente, povero di contenuti. Ma era il segnale chiaro che “Non era
finita”.
Che “non fosse finita” in realtà ci credevamo in pochi, ma quelli furono giorni
bellissimi, che aprirono la strada ad anni “Furibondi”.
Nel susseguirsi naturale degli eventi vennero i giorni dell’indifferenza, “tanto
ora chiudono”.
I giorni della consapevolezza, “picciotti cafuddrati”.
I giorni della maturità e con essi i giorni delle minacce, delle denuncie,
delle vittorie in Consigli Comunali infuocati. I giorni della crescita, della
contaminazione, dell’ARCI e delle Carovane Antimafia. I giorni dei bossoli,
dell’isolamento e poi di nuovo della Resistenza. Poi vennero i giorni del
silenzio, eravamo diventati pericolosi. Quando un sogno diventa grande, enorme
diventa l’obiettivo. Folli com’eravamo volevamo restituire alla nostra comunità
la possibilità di parlare liberamente senza il rischio di essere tagliati fuori
dalla vita economica e pubblica. Volevamo abbattere il regime cuffariano.
Vennero i giorni dell’abbandono, dei compagni di viaggio che vanno via senza un
saluto, i giorni della crisi economica pesante, perché nessuno aiuta chi lascia
“macchie d’olio che non si levano”.
Vennero i giorni della malattia, della sofferenza, della consapevolezza che
qualunque cosa avessimo fatto avremmo finito col danneggiare chi ci stava a
fianco. Mesi lunghi senza l’affetto dei lettori e, per scelta, dei nostri
amori. Poi vennero i giorni della follia. Di quella lucida passione che ti
spinge a dire che un’idea è più importante del tuo benessere e quindi della tua
stessa vita.Vennero i giorni della battaglia, combattuta come gli spartani alle
Termopili, certi della propria fine, ma consapevoli che almeno un seme sarebbe
andato a coltivare il terreno della speranza.
Giorni esaltanti vissuti fianco a fianco ad un gruppo d'uomini e donne che ogni
istante cresceva di numero, di qualità. Edizioni straordinarie che si
susseguivano colme di firme nuove, di gente nuova. Non avevamo niente da
perdere, semplicemente perché nulla più ci sarebbe stato concesso.
Sapevamo che in ogni caso quel gruppo non avrebbe visto “L’alba del giorno
dopo”. Ma non ce ne fregava nulla. Il nostro era un atto d’amore, e come tale
non richiedeva ricompense.
Vennero i giorni della speranza, di quel piccolo anelito di vita che faceva
pensare a bassa voce “si può vincere”. Non fu così. Perdemmo.
Vennero i giorni dell’addio, brevi, colmi di silenzi.
Di cieli stranieri visti da prospettive diverse. I giorni di un nuovo inizio,
ancora drappi rossi, quelli dell’ultima festa nazionale chiamata de “L’Unità”.
Un nuovo mezzo, internet. In fin dei conti noi pirati eravamo e navigare è la
nostra matrice naturale. I giorni della conoscenza. Della consapevolezza che di
nuovo “non è finita”.
Nuovi compagni di viaggio, Articolo 21, Liberainformazione, Kilombo.
Ad Est che non è più voce localizzata ma diventa stella solitaria di tutta
l’Italia. Mare virtuale dove i naufraghi possono respirare aria di casa.
E vennero i giorni della vittoria, del nostro
“enorme” nemico che perde, finisce in carcere, la stagione dei premi, delle
soddisfazioni della nostra Raffadali che recupera in tutta Italia le sue
origini di orgoglio contadino e partigiano. E quel maggio scorso quando il
nipote di Vittoria, della nostra Vittoria, diventaSindaco scalzando quello che
restava del cuffarismo morente.
Ma venne il giorno del dubbio. Di quel tarlo che prende quando la testa vuole
proiettarsi in avanti ma il cuore ti ancora ad una sponda conosciuta.
Le accuse, puramente fondate, di uno
snaturamento della struttura di Ad Est.
Ma nell’ultima campagna amministrativa non c’era alternativa ed i tempi duri
esigono scelte e sacrifici.
L’analisi quindi, spietata ma giusta. Ad Est rappresenta il passato.
Un momento glorioso e irripetibile, denso di sorrisi ed emozioni. Ma è passato.
Ha perso la sua fase propulsiva, il suo essere “avanti” è diventato difesa di
una storia che invece ha il diritto di camminare su basi solide ma gambe nuove.
Anche la presenza onnisciente del nemico (Cuffaro) è diventata dopo il 21
gennaio del 2011 una forma d’ossessione spesso noiosa e forse esagerata per la
statura indegna dei personaggi, del fratello Silvio poi non ne parliamo.
Si vada avanti dunque. I tempi richiedono più mani sporche che cervelli
stanchi.
AdEst finisce qui.
Ma come ad ogni grande amore l’addio non sarà né facile né lento, e non avrà
una data precisa.
Troppi i progetti antimafia e per la
“Resistenza” in giro per l’Italia, troppo belli i ragazzi che a Santa
Elisabetta stanno costruendo una “alternativa di società” dicendo “no alla
mafia” in quello che “cosa nostra” ha sempre considerato un feudo. Diamoci un
anno quindi per sperimentare nuove strade, per cercare di ridare slancio alle
nostre idee, per fornire mezzi di discussione e, perché no, per coltivare un
minimo di speranza.
Un anno per attrezzarci ad un futuro che necessita di tanti costruttori d'idee.
La nostra strada corre in una direzione ostinata e contraria, ma siamo vivi e
il nostro centimetro di libertà ce lo siamo conquistati.
Nel viaggiare in queste condizioni si rischia di perdersi, di dichiararsi
pazzi.
Se si insegue un mito è naturale smarrirsi, ma oggi il mito non c’è più,
nessuno lo cerca.
La morte del mito è la cosa più oscena dell’oggi.
E’ la fine dell’incantamento, dell’immaginazione, del desiderio…senza quella
cosa l’uomo si perde, diventa un grande invalido.
Noi cerchiamo il mito perciò andiamo avanti…. Siamo sulla strada giusta.
E se qualcuno ci chiede “se ne
è valsa la pena” rispondo con le parole di Giuseppe Pedalino, grande amico e
attuale assessore di Raffadali. “In paese è tornata la democrazia”. Solo per
questo è valsa la pena per 120 mesi di aver “Resistito” combattuto e vinto.
Ad Est…
Gaetano "Gato" Alessi
1 commento:
Mi spiace.
E' sempre brutto dover chiudere un capitolo così importante.
Ci si chiede sempre .. perché non si può continuare? rinnovandosi, ammodernandosi, ... boh.
Non conosco bene la vostra storia.
Ma so cosa avete fatto, passato, subito, sognato in questi anni.
E quindi so, che qualsiasi strada sceglierete, magari divisi, sarà sempre in direzione ostinata e contraria, per quella parola tanto abusata quanto stuprata, di cui però pochi, molto pochi, ne conoscono il significato e valore.
Libertà.
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