sabato 7 settembre 2013

10 anni dopo, Ad Est vi dice addio.



“Sai…scriverti una lettera, non è una cosa facile”.

Nomadi…sempre Nomadi a cadenzare gli attimi della nostra esistenza.
Già i Nomadi.
Per chi ancora non lo sapesse, da loro è nato tutto. Meglio. Da un loro pezzo.
Perso nel flusso di questi giorni piatti la memoria m’accompagna indietro nel tempo. In anni brutti, come questi.
Ad un risveglio da lustri di speranze e sogni naufragati su uno scoglio dalla forma sferica che portava stampato il faccione di Salvatore Cuffaro n’tiso Totò. Era il 2002.
Una sconfitta pesante aveva portato i “rossi” fuori del governo della città dopo 50 anni e in particolare aveva portato con se una buona parte dell’ingenuità che fino ad allora aveva ispirato il cammino di un gruppo di persone.
Persi, disorganizzati, quasi inerti davanti allo spettacolo triste di un popolo che aveva cambiato padrone senza alcun motivo logico.
Smarriti nel vedere usurai, mafiosi, puttanieri e affini sedere da “re” in quelle sale che avevano respirato atmosfere partigiane fino a pochi anni prima.
Stasi.
Un anno lungo quanto un secolo.
Poi i Nomadi, un audio casetta, “Contro” s’intitolava.
Una donna splendida che ti dice “fate” e quel pezzo, “Ad Est”.
“Ad est, ad est adesso si va, ad est, ad est là dove nasce il sole, ad est, ad est ritroverò la vita, ad est, ad est perché non è finita”.
La decisione durò lo spazio di una notte. Quel “Non è finita” rimbombava nella testa.
Una telefonata e una visita l’indomani mattina.
Febbraio del 2003 il primo numero di Ad Est.
Brutto graficamente, povero di contenuti. Ma era il segnale chiaro che “Non era finita”.
Che “non fosse finita” in realtà ci credevamo in pochi, ma quelli furono giorni bellissimi, che aprirono la strada ad anni “Furibondi”.
Nel susseguirsi naturale degli eventi vennero i giorni dell’indifferenza, “tanto ora chiudono”.
I giorni della consapevolezza, “picciotti cafuddrati”.
I giorni della maturità e con essi i giorni delle minacce, delle denuncie, delle vittorie in Consigli Comunali infuocati. I giorni della crescita, della contaminazione, dell’ARCI e delle Carovane Antimafia. I giorni dei bossoli, dell’isolamento e poi di nuovo della Resistenza. Poi vennero i giorni del silenzio, eravamo diventati pericolosi. Quando un sogno diventa grande, enorme diventa l’obiettivo. Folli com’eravamo volevamo restituire alla nostra comunità la possibilità di parlare liberamente senza il rischio di essere tagliati fuori dalla vita economica e pubblica. Volevamo abbattere il regime cuffariano. Vennero i giorni dell’abbandono, dei compagni di viaggio che vanno via senza un saluto, i giorni della crisi economica pesante, perché nessuno aiuta chi lascia “macchie d’olio che non si levano”.
Vennero i giorni della malattia, della sofferenza, della consapevolezza che qualunque cosa avessimo fatto avremmo finito col danneggiare chi ci stava a fianco. Mesi lunghi senza l’affetto dei lettori e, per scelta, dei nostri amori. Poi vennero i giorni della follia. Di quella lucida passione che ti spinge a dire che un’idea è più importante del tuo benessere e quindi della tua stessa vita.Vennero i giorni della battaglia, combattuta come gli spartani alle Termopili, certi della propria fine, ma consapevoli che almeno un seme sarebbe andato a coltivare il terreno della speranza.
Giorni esaltanti vissuti fianco a fianco ad un gruppo d'uomini e donne che ogni istante cresceva di numero, di qualità. Edizioni straordinarie che si susseguivano colme di firme nuove, di gente nuova. Non avevamo niente da perdere, semplicemente perché nulla più ci sarebbe stato concesso.
Sapevamo che in ogni caso quel gruppo non avrebbe visto “L’alba del giorno dopo”. Ma non ce ne fregava nulla. Il nostro era un atto d’amore, e come tale non richiedeva ricompense.
Vennero i giorni della speranza, di quel piccolo anelito di vita che faceva pensare a bassa voce “si può vincere”. Non fu così. Perdemmo.
Vennero i giorni dell’addio, brevi, colmi di silenzi.
Di cieli stranieri visti da prospettive diverse. I giorni di un nuovo inizio, ancora drappi rossi, quelli dell’ultima festa nazionale chiamata de “L’Unità”. Un nuovo mezzo, internet. In fin dei conti noi pirati eravamo e navigare è la nostra matrice naturale. I giorni della conoscenza. Della consapevolezza che di nuovo  “non è finita”.
Nuovi compagni di viaggio, Articolo 21, Liberainformazione, Kilombo.
Ad Est che non è più voce localizzata ma diventa stella solitaria di tutta l’Italia. Mare virtuale dove i naufraghi possono respirare aria di casa.

E vennero i giorni della vittoria, del nostro “enorme” nemico che perde, finisce in carcere, la stagione dei premi, delle soddisfazioni della nostra Raffadali che recupera in tutta Italia le sue origini di orgoglio contadino e partigiano. E quel maggio scorso quando il nipote di Vittoria, della nostra Vittoria, diventaSindaco scalzando quello che restava del cuffarismo morente.
Ma venne il giorno del dubbio. Di quel tarlo che prende quando la testa vuole proiettarsi in avanti ma il cuore ti ancora ad una sponda conosciuta.
Le accuse, puramente fondate, di uno snaturamento della struttura di Ad Est.

Ma nell’ultima campagna amministrativa non c’era alternativa ed i tempi duri esigono scelte e sacrifici.
L’analisi quindi, spietata ma giusta. Ad Est rappresenta il passato.
Un momento glorioso e irripetibile, denso di sorrisi ed emozioni. Ma è passato. Ha perso la sua fase propulsiva, il suo essere “avanti” è diventato difesa di una storia che invece ha il diritto di camminare su basi solide ma gambe nuove.
Anche la presenza onnisciente del nemico (Cuffaro) è diventata dopo il 21 gennaio del 2011 una forma d’ossessione spesso noiosa e forse esagerata per la statura indegna dei personaggi, del fratello Silvio poi non ne parliamo.
Si vada avanti dunque. I tempi richiedono più mani sporche che cervelli stanchi.

AdEst finisce qui.

Ma come ad ogni grande amore l’addio non sarà né facile né lento, e non avrà una data precisa. 
Troppi i progetti  antimafia e per la “Resistenza” in giro per l’Italia, troppo belli i ragazzi che a Santa Elisabetta stanno costruendo una “alternativa di società” dicendo “no alla mafia” in quello che “cosa nostra” ha sempre considerato un feudo. Diamoci un anno quindi per sperimentare nuove strade, per cercare di ridare slancio alle nostre idee, per fornire mezzi di discussione e, perché no, per coltivare un minimo di speranza.
Un anno per attrezzarci ad un futuro che necessita di tanti costruttori d'idee.
La nostra strada corre in una direzione ostinata e contraria, ma siamo vivi e il nostro centimetro di libertà ce lo siamo conquistati.
Nel viaggiare in queste condizioni si rischia di perdersi, di dichiararsi pazzi.
Se si insegue un mito è naturale smarrirsi, ma oggi il mito non c’è più, nessuno lo cerca.
La morte del mito è la cosa più oscena dell’oggi.
E’ la fine dell’incantamento, dell’immaginazione, del desiderio…senza quella cosa l’uomo si perde, diventa un grande invalido.
Noi cerchiamo il mito perciò andiamo avanti…. Siamo sulla strada giusta.


E se qualcuno ci chiede “se ne è valsa la pena” rispondo con le parole di Giuseppe Pedalino, grande amico e attuale assessore di Raffadali. “In paese è tornata la democrazia”. Solo per questo è valsa la pena per 120 mesi di aver “Resistito” combattuto e vinto. 
Ad Est…


Gaetano "Gato" Alessi

1 commento:

Casartelli ha detto...

Mi spiace.
E' sempre brutto dover chiudere un capitolo così importante.
Ci si chiede sempre .. perché non si può continuare? rinnovandosi, ammodernandosi, ... boh.
Non conosco bene la vostra storia.
Ma so cosa avete fatto, passato, subito, sognato in questi anni.

E quindi so, che qualsiasi strada sceglierete, magari divisi, sarà sempre in direzione ostinata e contraria, per quella parola tanto abusata quanto stuprata, di cui però pochi, molto pochi, ne conoscono il significato e valore.
Libertà.