martedì 9 settembre 2008

Otto settembre

Di Alessando Di Benedetto*
L'otto settembre di 65 anni fa l'Italia si risvegliò bruscamente. I festeggiamenti del 25 luglio erano finiti, la lunga estate delle trattative "segrete" con gli alleati stava per dare il suo frutto. La corte aveva già messo in moto la vergognosa fuga da Roma, i fascisti che Badoglio non aveva voluto perseguire erano pronti a rimettersi in gioco e aspettavano solo un cenno, un capo... Chi si era illuso che il fascismo potesse finire soffocato dai suoi fallimenti, dalle sue vergogne, dalla inconsistenza delle sue idee doveva presto ricredersi tragicamente.
L'otto settembre del 1943 segnò un punto di svolta. Vennero la guerra civile, l'occupazione tedesca, le esecuzioni sommarie, venne il lungo inverno repubblichino, le deportazioni. E il Venticinque aprile, la liberazione.
Tra l'otto settembre del '43 e il Venticinque aprile del '45 si gettarono le basi dei successivi decenni di storia italiana. La Repubblica nata dalla Resistenza si portò dietro non solo gli eroismi e i sacrifici di quella stagione, ma anche le tante contraddizioni.
1) Il nodo non risolto del rapporto con l'eredità fascista, la scelta di non procedere a una seria epurazione, l'occultamento, fatto confluire a forza nella Costituzione stessa, delle responsabilità della chiesa cattolica nel processo di affermazione del fascismo e nel consolidamento del suo regime dopo il delitto Matteotti, fino al 1929 e oltre.
2) Il problema della effettiva democratizzazione non solo delle strutture istituzionali formali, ma anche dei comportamenti e dello spirito civico degli italiani. Un processo mai compiuto, al punto che gli italiani trovarono "normale" una democrazia bloccata con un partito "condannato" a governare e un altro "condannato" all'opposizione. Nessun paese seriamente democratico, nessun popolo genuinamente convinto della democrazia avrebbe accettato questo fatto come "normale"
3) La lunga serie dei delitti politici dell'Italia repubblicana. Qualcuno si diletta ancora oggi a contare le vittime delle vendette dei partigiani, episodi deprecabili ma comprensibili nel periodo seguito alla guerra. Ma in questo paese è stato il potere a uccidere con maggiore frequenza e violenza. Da Portella della Ginestra a Genova, da Placido Rizzotto a Federico Aldrovandi. Che paese è quello in cui il potere uccide impunemente mascherandosi dietro accordi con la mafia, dietro la strategia della tensione o dietro l'esigenza di garantire la sicurezza?
Comprendere l'odierna situazione italiana, darsi una ragione dell'attuale crisi della politica, e della sinistra in particolare, non può non partire da una considerazione della nostra storia, del vissuto dei decenni passati, delle omissioni, degli errori, delle illusioni, dei compromessi di cui la sinistra si è resa colpevole nella lunga, fallimentare, ricorsa a un potere che intendeva cambiare e dal quale, invece, si è fatta cambiare fino a rendersi irriconoscibile.
Qual è, dunque, il problema di questo paese? vi invito a leggere l'illuminante saggio di Saverio Lodato e Roberto Scarpinato, Il ritorno del principe; probabilmente il problema di questo paese è il potere stesso che lo governa sotto le sue diverse forme (mafia, finanza, mass-media, chiesa, parlamento), incancrenito a tal punto da non poterne essere staccato senza uccidere il corpo civile del paese. E non sarà una sinistra partecipe del potere a redimere il potere, come i fallimenti della sinistra "di governo" mostrano palesemente.
Forse non c'è soluzione, forse la soluzione è peggiore del male.
O forse sì, forse il Venticinque aprile deve ancora compiersi pienamente, portare a maturazione tutti i suoi frutti. Ma non c'è Venticinque aprile senza otto settembre, non c'è liberazione senza lotta, non c'è vittoria senza prezzi da pagare.


*http://www.alessandrodibenedetto.it/

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