domenica 14 dicembre 2008

CHIESA E MAFIA, UNA QUESTIONE ANCORA APERTA

di Santo Lombino *

flagAnche per il corrente anno scolastico è partito il Progetto educativo antimafia” con cui il “Centro studi e iniziative culturali Pio La Torre” di Palermo punta al coinvolgimento delle scuole secondarie superiori non solo del capoluogo ma anche del resto della Sicilia. Gli incontri mattutini, con diverse centinaia di studenti, sono infatti trasmessi in videoconferenza agli istituti disseminati in tutta l'isola, da Marsala a Noto, da Catania a Lentini. Le altre attività previste sono quest'anno le visite ai beni confiscati ai mafiosi, la diffusione di materiale documentario, la somministrazione e l'esame di un questionario sulla legalità, che servirà ad avere il “polso” non solo della percezione del fenomeno mafioso, ma anche degli atteggiamenti delle giovani generazioni su tanti aspetti della convivenza civile e della realtà socio-politica attuale. L'incontro dell'11 novembre è stato dedicato all'azione che lo stato ha nel tempo messo in campo per contrastare la criminalità organizzata di stampo mafioso, ed in particolare alla formazione, alle attività ed alle conclusioni cui sono giunte le diverse commissioni d inchiesta che il Parlamento ha formato nel corso del tempo, dal 1962 ad oggi. Testimoni di tali realtà sono stati l'ex parlamentare Nino Mannino e Luciano Violante, già magistrato, poi deputato e presidente della quarta commissione antimafia (1992-1994).Quest'ultimo ha dato una chiave di lettura molto interessante delle origini delle cosche in Sicilia. La storia dell'isola è stata infatti – ha detto Violante – storia di dinastie straniere che hanno trovato utile servirsi di una classe dirigente (collegata ai “facinorosi della classe media” di cui parlò Leopoldo Franchetti) disposta all'ossequio verso i dominatori, a condizione di essere lasciata libera di spadroneggiare sul resto dei siciliani, ed allontanare dalla Sicilia ogni vento di libertà e di uguaglianza che potesse minacciare i privilegi dei detentori del potere.

L'incontro del 5 dicembre ha invece messo a fuoco i rapporti intercorsi tra la Chiesa come istituzione e come comunità dei credenti e “Cosa nostra” dalle sue origini ai giorni nostri. Padre Michele Stabile, storico della Chiesa e in passato vicario del cardinale Pappalardo, ha seguito le tappe dell'atteggiamento della Chiesa siciliana e di quella universale, a partire dalla nascita dell'Unità nazionale cui le istituzioni ecclesiastiche si mostrarono contrarie. Per decenni la questione criminale è stata ignorata dai vertici della Chiesa, e qualche voce interna ad essa è rimasta isolata. E' stato ricordato non solo l'atteggiamento del cardinale Ernesto Ruffini, teso a sminuire la gravità del fenomeno, ma anche la lettera di Paolo VI dopo la strage di Ciaculli, che interrogava i credenti siciliani e le loro guide spirituali sulle cause e sulle conseguenze, sia materiali che morali, dell'infiltrazione mafiosa nella società.

E' stato purtroppo dimenticato il manifesto pubblico del pastore valdese Panascia che, a differenza delle gerarchie cattoliche romane, prese a Palermo pubblica posizione contro la presenza mafiosa nella società siciliana. Negli anni 1950-70 lo scudo della lotta al “comunismo ateo” è servito ad evitare che lo strapotere di Cosa nostra venisse individuato come una “struttura di peccato” ed i mafiosi, che si sono sempre proclamati religiosissimi e devoti ai santi, venissero percepiti da vescovi e sacerdoti come abissalmente lontani ed opposti allo spirito del messaggio evangelico. In seguito la situazione è mutata, e nel 1983 Giovanni Paolo II ha pubblicamente invitato i boss a “convertirsi” abbandonando la “cultura della morte”di cui sono portatori. Per padre Nino Fasullo, direttore del mensile “Segno”, giunto quest'anno al numero 300, il momento della più netta inversione di tendenza nell'atteggiamento della Chiesa si ha negli anni '80 con l'iniziativa dei preti del triangolo Casteldaccia-Bagheria-Altavilla che formano il primo comitato antimafia e con la messa solenne in Cattedrale cui il cardinale Pappalardo chiama tutta la città e non solo i credenti. I cambiamenti degli anni '90, di cui sono stati simboli e martiri don Pino Puglisi e don Peppe Diana, devono essere sempre attualizzati dalla pratica concreta, senza dare per scontato che l'impegno della comunità ecclesiastica passi spontaneamente da una generazione all'altra. Qualche segnala infatti qualche contraddizione nell'atteggiamento dei sacerdoti verso i “boss” e il “pentimento” di alcuni di loro. Antonio La Spina, docente di sociologia all'Università di Palermo ha preso in considerazione i documenti elaborati dalla Conferenza Episcopale italiana sulla questione criminalità nel 1989 e sul sottosviluppo meridionale (nel 1994) che di tale presenza ha significativamente sofferto, facendone notare gli aspetti di critica radicale alla collusione tra mafia e politica e la sottolineatura della necessità di non abbandonare il primato dell'etica nell'azione sociale e politica dei cattolici. Vito Lo Monaco, presidente del “Centro Pio La Torre” ha quindi annunciato l'intenzione di proporre alla Chiesa siciliana un pubblico convegno che rifletta sui rapporti mafia-messaggio cristiano a vent'anni dal documento della Conferenza episcopale, per verificarne l'efficacia nel tempo. Le relazioni ampie e articolate, anche se non sempre sintetiche, hanno spinto molti studenti a intervenire con le loro domande: segno che è stato suscitato un notevole interesse nei giovani ascoltatori. Il prosieguo dell'attività ci dirà se esso sia diventato anche ricerca, riflessione, azione quotidiana dentro e fuori la scuola.

*http://www.corleonedialogos.it/index.html

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