giovedì 1 gennaio 2009

Raffadali...Piazza Regresso.

di Enzo Lombardo

Agli inizi del XX° secolo l´enorme spiazzo desertico antistante l´ex castello dei principi Montaperto fu chiamato Progresso, anche per segnalare l´arrivo in paese dell´acqua potabile. Nel tempo essa è stata abbellita ed arricchita con la piantumazione di essenze arboree, la creazione di aiuole, la messa in funzione di scivoli e giochi per bambini. Per decenni quella piazza ha simboleggiato il progresso sociale della gente di Raffadali che, da informe massa bracciantile, si è trasformata in dipendenti

pubblici- molti dei quali forniti di diploma o laurea- in commercianti, in artigiani. La piazza progresso è stata per decenni il luogo di ritrovo di una comunità laboriosa che ha visto nell´istruzione e nel lavoro il mezzo per il proprio riscatto sociale ed il miglioramento delle condizioni materiali di vita. Essa ha testimoniato la presenza nel suo grembo di una istituzione come la Camera del Lavoro, il circolo dei pensionati INPS, la residenza del più illustre e longevo sindaco di Raffadali Forse la compresenza di presìdi così diversi ha contribuito a determinare una specie di controllo sociale incrociato che ha aiutato a prevenire forme di degenerazione nei comportamenti degli individui.

Forse.

Una cosa è certa. L´aver ridotto il corso principale del paese, la famosa "chiazza", a corsia privilegiata del traffico veicolare, dopo decenni in cui esso ha costituito il salotto di Raffadali, ha ricacciato la massa di giovani nei recinti di quella piazza che dietro l´apparente vivacità nasconde il vuoto disperato di una generazione allo sbando, privata della speranza da coloro che Gaetano Alessi chiama opportunamente "predatori del futuro".Quando anche solo una minoranza di giovani "normali" si mescolava con l´altra gente nell´ex salotto del paese scemava la probabilità che alcuni di essi potessero essere il bersaglio di attenzioni da parte dei loschi personaggi che ruotano nel mondo della droga e del malaffare. Insomma, i ghetti non hanno mai costituito una forma di progresso, ma semmai una manifestazione di oscurantismo e di regressione civile e culturale.

Beninteso, i presìdi sociali della piazza progresso, il fluire comune della gente lungo il corso principale avrebbero potuto ridurre il danno, ma non eliminare la causa del male.

E qua dissento parzialmente dal bell´intervento di Gaetano http://gaetanoalessi.blogspot.com/2008/12/ad-estini.html. Non per assolvere i pessimi modelli forniti dalla classe politica dominante, in primis il clan Cuffaro, oltre che la marea di parlamentari del centro destra inquisiti per i reati più vari, ma probabilmente è necessario fare uno sforzo ulteriore per tentare di rintracciare più a monte le ragioni profonde del malessere sociale che da tempo investe la nostra società. Nostra, nel senso più vasto del termine, cioè la società opulenta dei paesi capitalistici. Perché nessuno è così miope da pensare che la via degli stupefacenti alla felicità sia una peculiarità locale. Forse ci scandalizza il gran numero di persone coinvolte nella retata, la verità scomoda che mette a nudo le responsabilità di una classe dirigente e di una società adulta che non ha capito o ha fatto finta di non capire. Ma Raffadali, per parafrasare il titolo di un libro di Totò Di Benedetto, "non è un´isola". Tutti i paesi del mondo a sviluppo capitalistico sono colpiti dal flagello del traffico e dell´uso della droga.All´inizio della mia carriera di insegnante, inizi anni ´70, avevo adottato un testo di letture che costituiva una autentica finestra sul mondo. Si chiamava "The News". Venivano affrontati in modo critico tutti i problemi dell´attualità: esplorazioni spaziali, femminismo, pubblicità, droga etc. Per la prima volta sentivo parlare di LSD. In massima parte si trattava di interviste a teenagers americane/i. Neanche durante il periodo caldo del ´68 mi era capitato di sentir parlare di droghe. L´energia giovanile era tutta protesa verso la distruzione del sistema esistente e la creazione di un mondo di libertà e diritti. Erano anni di grandi passioni, di sogni accarezzati, di creatività vulcanica. Non c´era tempo per annoiarsi, non c´era spazio per la

disperazione. Poi sappiamo come è finita: la delusione, il terrorismo, la rivincita del liberismo messo in discussione dalla ventata rivoluzionaria sessantottina. La rivincita feroce del sistema trova il suo suggello nell´avvento del reaganismo negli USA e del thatcherismo in Europa. Mi rendo conto che termini del genere non dicono niente ai più giovani, ma se non si sa e non si capisce il senso delle teorie liberiste che hanno plasmato il mondo negli ultimi trent´anni è difficile capire la corruzione lacerante che ha devastato le coscienze di milioni di persone, giovani e non.

Il teorema di base del liberismo si fonda sull´ideologia della supremazia dell´individuo sulla società.

I vincoli e le regole che consentono la coesione della società sono pastoie per l´ideologia liberista: Da ciò nasce la lunga battaglia culturale di destrutturazione di ogni idea di solidarietà, cooperazione, comunità. Alla solidarietà viene contrapposta la competizione, al noi viene contrapposto l´io. La vita diventa una guerra sfrenata fra io concorrenti. La vittoria e il successo di un "io" su un altro si misura sulla base dello status sociale valutato in termini di ricchezza. Il materialismo più gretto e volgare diventa la stella polare che guida i comportamenti degli individui In questa corsa dissennata di milioni di individui che nuotano nell´oceano del mercato non c´è posto per lo stato. Agli inizi degli anni ´90 ci hanno bombardato con gli slogans ossessivi "Meno Stato più mercato" "Privato è bello". E giù privatizzazioni a tutto spiano, con l´autocompiacimento di un D´Alema che si gloriava di avere fatto più privatizzazioni di quante ne avesse fatte Blair in Gran Bretagna. E giù le teorie sulla flessibilità (leggi precarietà), sulla fine del posto fisso- che è una forma di garanzia per il lavoro-, lo smantellamento dello stato sociale che, in nome del noi, costituiva una copertura e una garanzia per gli individui più deboli. In un mondo di individui in perenne competizione fra di loro, dove il metro di giudizio esclusivo dello status sociale è costituito dal denaro e dalla capacità di fare denaro, non credo ci possa essere spazio per .per valori

altri, come la morale, l´onestà, l´onore, il senso del dovere. Quale meraviglia, dunque, che facciano carriera gli individui più corrotti, più abbietti? Quale meraviglia che singoli giovani, per restare al tema centrale della nostra discussione, tentino di affermarsi nella società lucrando sulle debolezze di altri giovani individui? Nella subcultura dello "homo hominis lupus" e del "mors tua vita mea" non c´è spazio per la pietà, per l´amore vero, profondo, verso il fratello. Gli Abeli tendono a scomparire a tutto vantaggio dei Caini. Siamo alla regressione culturale più grave degli ultimi decenni, forse stiamo andando a ritroso a prima della rivoluzione francese. "Liberté, Egalité, Fraternité" suonano messaggi strani e lontani, figurarsi poi socialismo o comunismo. Ed allora? Che fare? A me sembra che questo modello selvaggio dell´io contro io nel nome del liberismo e del mercato stia mostrando la corda. L´attuale crisi economica e finanziaria è là a dimostrare a chi non ci credeva che il tempo dell´ubriacatura dello sviluppismo senza fine e senza regole è finito. Se l´attuale disastro economico, con tute le conseguenze sociali, potesse servire a fare riflettere chi ha perso il lume della ragione allora io dico con Dario Fò "Benedetta Catastrofe".Ovviamente non si può aspettare in riva al fiume che passi il cadavere del nemico e che sorga l´alba del giorno nuovo. D´altronde è storicamente dimostrato che gli esiti di crisi profonde hanno avuto sbocchi regressivi e lesivi della democrazia e della libertà. Per intanto discutere di questi problemi credo che costituisca un passo avanti per tentare di introdurre elementi di riflessione nel seno della società, consapevoli, comunque, che la lotta per l´egemonia culturale è impari, stanti lo strapotere economico-finaziario dei detentori del potere e dei mezzi di comunicazione di massa.

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2 commenti:

enzino ha detto...

caro enzo, ho quasi sempre letto i tui messaggi e spesso li ho condivisi, come, in parte, condivido questo. Non posso non esser d'accordo con le accuse che muovi al liberismo sfrenato che ha mosso l'ultimo ventennio di vita italiana e mondiale. lo stesso liberismo che talvolta ha anche contagiato alcuni esponenti della sisnistra. La cosa che è mancata iun questi anni non è stato però lo statlismo che spesso viene evocato e che ha dimostrato, anc'esso, se rigidamente e acriticamente praticato, di essere un danno per gli uomini e l'economia. Quello che manca e che è mancato è l'equilibrio, l'analisi critica dei meccanismi che si sono sviluppati negli anni e che sono stati adeguatamente(per nulla) governati dalla politica. Il tuo modo di vedere la faccenda è fortemente ideologgizzato e ti impedisce di vederne molti aspetti non di secondo piano. La competizione economica e delle idee, quella sana, è essenziale per lo svulippo di ogni società o gruppo di individui e diventa imprescindibile se coniugata con saldi principi di solidarietà e di senso dello stato. Il fatto che gruppi di giovani stiano lontani dai salotti degli adulti non ha nulla di negativo, l'aggregazione che si realizza alla villa, lontano dalla chiazza, è quanto di più sano e positivo vi possa essere. La tua analisi dipinge il mondo degli adulti come corrotto e privo di scrupoli, è da questo che i ragazzi vogliono stare lontani. I giovani vogliono essere liberi di esprimere il loro io, di comportarsi liberamente esprimendo tutta la loro vitalità. Essere giovane vuol dire avere uno slancio in più, essere un passo avanti e soprattutto trasgredire, come hanno fatto in tanti dalla notte dei tempi. Il problema sta nel comprendere questi meccanismi e nel dare il giusto freno ai naturali eccessi di quell'età. Dare la colpa delle distorsioni soltanto ai ladri di futuro è anche in questo caso limitativo. Io do la colpa in primo luogo ai genitori, incapaci di fornire ai propri figli un faticoso, duro, impegnativo, quasi discriminante, modello di convivenza civile. Un ragazzo che non ha presente il significato della fatica, l'importanza della correttezza e della lealtà nei confronti di se stesso e degli altri è un ragazzo debole. Dare valori è molto più faticoso e impegnativo che acquisirli, essere un giusto modello comporta rinunce e rischi, ma è quello che è mancato in questi anni. I genitori di oggi sono spesso i raccomandati di ieri che nel loro credo hanno soltanto un classicissimo "fatti raccomandare se vuoi contare". Sono loro che debbono capire l'errore compiuto e non farlo ripetere ai propri figli. Errare è umano, perseverare è diabolico.
Un saluto Paolo Vizzì

bruno ha detto...

Condivido in toto quello che scrive Paolo. Ideologizzare tutto mi sembra un modo per nascondere le vere colpe o i veri colpevoli, che poi alla fine coincidono con quelli che dice Paolo.......