Michelangelo La Rocca
Dov’è la vittoria? dice il nostro inno, amato da nessuno e bistrato da tutti.
E’ ovvio che la vittoria non c’è, non c’è mai stata e, meno che mai, c’è adesso, in questa stagione di sconfitte, di amarezze, di delusioni.
La sconfitta più amara e cocente che tocca nei giorni moderni ad un genitore è quella di dovere seguire le vicende del lavoro moderno, quello che è toccato in sorte ai nostri figli, ai nostri nipoti.
Lavoro precario, umiliante, senza dignità, oggetto di mediazioni ed intermediazioni anacronistiche, dal sapore post-bellico eppure barattato per moderno, aperto al futuro.
Più che dov’è la vittoria vien voglia di chiedersi dov’è Di Vittorio, il grande sindacalista di Cerignola?
Ci vorrebbe uno come lui, acerrimo nemico dei caporalati di un tempo, per combattere i caporalati moderni che offendono la dignità del lavoro, negano ogni prospettiva di futuro, persino di speranza di un futuro, alle nuove generazioni.
Cos’altro sono le agenzie interinali del lavoro se non dei caporalati moderni, anzi qualcosa di peggio?
I caporali di un tempo erano illegali e correvano il rischio, invero assai aleatorio, di incorrere nei rigori della legge.
Le agenzie invece no, sono tutelate dalla legge ed hanno, persino, una copertura delle forze politiche, anche quelle di sinistra, che, per un malinteso senso di modernità, vedono nel lavoro moderno, nel lavoro flessibile, nel lavoro precario quasi una precondizione necessaria e sufficiente per lo sviluppo dell’economia.
Non so quanto, non so come, una simile posizione politica sia assunta in buona o mala fede, di sicuro, però, è una posizione politica sbagliata, enormemente sbagliata.
Una posizione che non può certamente fare parte del dna della sinistra, od anche solo del centrosinistra, od almeno di una sinistra o di un centro sinistra che vogliano seriamente dirsi tale.
Certo, oggi non c’è più il barone di Cerignola, i cafoni non muoiono di fame, non manca loro il pezzo di pane, la goccia d’olio, il sorso d’acqua.
Oggi, però, nel 21° secolo si conosce l’onta dell’umiliazione, della precarietà, della mancanza della stabilità di residenza.
Si conosce l’onta del lavoro senza dignità, ci si sente un pacco postale sballottato tra agenzie interinali (o società di consulenza) e imprese e non ci si può consentire il lusso di pensare al futuro, di guardare al domani.
Non è per questo che abbiamo lottato e combattuto negli scorsi decenni.
L’orologio dei diritti dei lavoratori è stato spostato indietro di interi lustri, interi decenni.
E’ stata disattesa, qui come altrove, la Carta Costituzionale che voleva che la nostra Repubblica fosse fondata sul lavoro.
L’Italia , per i motivi più disparati, sta vivendo una delle stagioni più buie dei suoi 150 anni di storia, se si vuole ripartire è dal lavoro, dalla dignità del lavoro che occorre iniziare un nuovo percorso per la riconquista dei diritti perduti.
La sinistra, se vuole rinascere e se vuole riappropriarsi del suo vero dna, deve riscoprire nel lavoro, nei diritti dei lavoratori il suo valore fondante e qualificante, anche a costo di rischiare di non apparire moderna come vorrebbero che fosse i non disinteressati potentati economici .
Occorre riscoprire la lezione di Di Vittorio, di Lama , di Trentin e, perché no?, di Cofferati.
La sfida di Marchionne a Pomigliano è stata sottovalutata, non è stato colto per intero il suo valore di simbolica arroganza.
Il messaggio è stato chiaro: si vogliono costringere i lavoratori a tornare indietro, a rinunciare alle conquiste degli ultimi decenni.
Alla logica del ricatto occorre rispondere con la voglia di riscatto: ora, subito, adesso!
Quello che in questi giorni sta succedendo ai precari della Scuola è sconcertante, si sta assistendo, quasi in silenzio, al più grande licenziamento di massa della storia repubblicana.
E la cosa che sconcerta e disgusta è che questa volta il barone di Cerignola ha il volto dello Stato, del nostro Stato!
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