giovedì 22 settembre 2011

LA RAFFADALI CHE VORREI

                                                                         di Giovanna Dominici
Mi sono spesso chiesta se non sia connaturata nel genere umano la tendenza di dare risalto più ai lati negativi che a quelli positivi della propria vita e se questo sia dato dall’altra spiccata tendenza dell’uomo di non accontentarsi e pretendere sempre di più. Mi sono risposta che in parte è vero, che il più delle volte a prevalere sia il pessimismo e che tutto ciò che di positivo abbiamo nelle nostre vite venga oscurato da questo. Partendo da tale semplice premessa cercherò di dar luogo ad una disamina sul mio paese, un’analisi quanto più razionale e obiettiva possibile, attenendomi ai fatti scrupolosamente, non lasciandomi influenzare da nessuna tendenza pessimistica. “La Raffadali che vorrei" esprime il mio personale disagio nei confronti del paese in cui vivo, e, contestualmente, la virtuale proiezione verso una realtà diversa. Una realtà nella quale avrei il piacere di vivere, e non perché sogno la “città ideale” di cui scrisse Tommaso Campanella, (le utopie, si sa, quasi mai si riflettono nella realtà), ma solo per il gusto di sentirmi parte delle scelte più o meno importanti che sono destinate ad incidere sulla mia vita. Il mio malcontento nasce dalla considerazione del contesto in cui mi ritrovo a vivere, un sistema che a volte sembra essere considerato pura datità, contro il quale non si può nulla, e che bisogna accettare così com’è. Le città ideali non sono mai esistite ne mai esisteranno, il mio non vuol certo essere un divagare utopico, voglio solo immaginare una città migliore, fatta a misura del cittadino e delle sue esigenze. Si deve iniziare a credere che queste possano esistere ed è in esse che voglio sperare. Il disinteresse per la collettività e il mero interesse del singolo, ecco cosa non dovrebbe esistere nella Raffadali che vorrei. Alcuni dicono che la politica e i politici siano ormai un bersaglio troppo facile, altri, invece, che a volte da un sistema di governo si pretendano dei miracoli. Personalmente credo che non esista niente di più errato che lasciarsi influenzare dai luoghi comuni e che prima di dar libero sfogo ai pensieri bisogna spogliare questi da ogni pregiudizio, che una valutazione vada effettuata scevra da ogni condizionamento, che sia necessario metterla a confronto con tutte le sue possibili diramazioni e validarla solo dopo un attento ragionamento e un concreto riscontro dei fatti. Credo, ad esempio, che sia un fatto che siano ormai pochi i coetanei rimasti, parliamo di menti e braccia forti di ragazzi dai vent’anni in su, poiché obbligati dalla carenza di risorse occupazionali ad emigrare in cerca della sperata fortuna. Credo sia qui doverosa una correzione terminologica: non propriamente in cerca di fortuna ma di uno stile di vita dignitoso, che consenta loro di provvedere alle più semplici delle loro esigenze e che il loro paese dovrebbe garantirgli, un lavoro, ad esempio. Ricordandomi di attenermi soltanto alla realtà e di non perdermi nel concetto di una città ideale capace di soddisfare le esigenze di ogni “singolo” cittadino, la Raffadali che vorrei dovrebbe quanto meno dare delle “giuste” possibilità a quanti lo “meritino”. Devo forse credere che anche la “Meritocrazia” sia un concetto utopico? Che sia mera fantasia sperare che chi ha studiato, lottato per migliorare la propria posizione sociale, non si veda scavalcato dal solito “ figlio o nipote di?” E dare per certo che questo non è possibile non significherebbe pensare come la classe dominante ci impone di pensare? Non è forse abitudine di ogni sistema di governo convincere il cittadino che il “giusto” è solo un’utopia inattuabile e che le cose vadano nell’unico modo in cui possono andare? Obiettivamente non può essere considerata fantasia desiderare e adoperarsi per il giusto. E’ forse utopico desiderare che per i politici che detengono le chiavi del mio paese, sia unico interesse il bene della popolazione tutta e non solo quello di pochi eletti? Che ognuno dei miei “concittadini” ottenga ciò che si è meritato?  Che il merito di portare un nome “prestigioso” non rappresenti una corsia di marcia preferenziale idonea ad usurpare impropriamente quel posto appetibile che qualche altro ha meritato studiando e impegnandosi duramente? Le risposte non vanno ponderate, sono immediate, sono quasi naturali e per ognuna di esse occorre solo rispondere secondo il buon senso. E’ ora che si inizi a capire che i concetti di “equità” ed “uguaglianza” non sono puro astrattismo. Imponiamoci una riflessione: se ognuno di noi iniziasse a credere che si va avanti solo meritandosi metro dopo metro quel pezzettino di strada che ci siamo prefissati di percorrere, metteremmo in seri guai i nostri amati e rispettati signori del potere. Succederebbe esattamente questo: ognuno di noi si metterebbe in testa quell’insana convinzione di riuscire a superare un concorso per titoli, ad esempio, solo se presenta le qualifiche richieste dal bando. A questo punto, non avrebbe più alcun valore recarsi dal politico di turno per fare leva sulla sua “mano onnipotente” e sul suo vigile “occhio di riguardo”. Ad un tratto quel radicato sistema clientelare perderebbe la sua linfa ed andrebbe incontro al il suo naturale declino. No, nulla di più tragico per i Nostri Signori! Per non dargli un dispiacere dobbiamo solo continuare a godere di questo mistico torpore in cui giace indisturbato il nostro amato paese, se invece desideriamo un efficace risveglio dobbiamo usare dei piccoli accorgimenti alla portata di tutti. Un buon punto di partenza è quello di ribellarci a questo sistema, dando atto ad una rivoluzione culturale che parta dal singolo ma che sia destinata a coinvolgere la maggioranza degli esseri pensanti. Da questo punto in poi il progetto prenderebbe corpo in modo quasi naturale, inizieremmo a far sentire la nostra voce non lasciando più che uomini privi di ogni vocazione politica decidano del nostro paese.  Auspico che nessuno si accontenti più delle briciole sparse dal potente politico di turno in cambio di un sostegno alle prossime elezioni politiche. Personalmente sono stanca di essere la marionetta di un sistema del quale invece ho il diritto di essere parte attiva. Credo che il mio punto di vista sia anche quello di molti altri raffadalesi, stanchi di vivere in un paese dove già dai singoli uffici è possibile accorgersi dell’incompetenza della stragrande maggioranza del personale, figlia di una “prestigiosa” raccomandazione. Non credo che un cambiamento nella direzione del “giusto” sia un’utopia; non credo allo stesso modo che si tratti di una missione semplice, ma credo che, per quanto difficoltosa, sia possibile, che potrebbe essere la realtà in cui ritrovarci a vivere se solo usassimo un po’ più di coscienza nelle nostre decisioni. A mio parere non esiste errore più grande dello scegliere i nostri uomini di governo sulla base di futili motivazioni, e nel caso del nostro paese, sulla base di promesse rivelatesi, quelle si, “straordinariamente” utopiche. Credo che nessuno potrà mai concederci il massimo, che il singolo non lo potrà mai concedere al singolo, il vero benessere è quello che deriva da una responsabile amministrazione del diritto e se consegniamo questo nelle mani di persone avide travestite da politici, di certo questi non faranno mai il nostro interesse. Un risveglio delle coscienze e l’abbandono della percezione di noi stessi come esseri impotenti di fronte al potere potrebbero rappresentare la giusta “arma” per riprenderci il nostro paese e farlo diventare finalmente “La Raffadali che vorremmo”.

Nessun commento: